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Trovata "chiave genetica"
di dieci malattie autoimmuni

Che nelle malattie autoimmuni ci sia una predisposizione genetica è dimostrato o ipotizzato da tempo, a seconda dei casi, ma ora un grande studio internazionale, coordinato dagli immunologi del Children’s Hospital di Filadelfia (USA) e pubblicato sulla rivista Nature Medicine, ne fornisce una prova convincente e, contemporaneamente, dà una visione complessiva di ciò che accade, indicando quindi nuovi potenziali bersagli per terapie mirate.

I ricercatori hanno analizzato molti studi relativi a dieci malattie autoimmuni che si presentano nell’infanzia: diabete di tipo 1, celiachia, artrite giovanile idiopatica, immunodeficienza variabile comune, lupus, malattia di Crohn, colite ulcerosa, spondilite anchilosante, psoriasi e tiroidite autoimmune. In particolare gli immunologi hanno puntato l’attenzione su uno studio che ha coinvolto oltre 6.000 persone malate e 10.700 persone sane, tutte esaminate una per una, con un dettagliato profilo genetico. I ricercatori hanno così scoperto che esistono 27 punti (chiamati loci) del nostro codice genetico, il DNA, che presentano alterazioni comuni nelle dieci malattie; in particolare, 22 sono comuni ad almeno due malattie autoimmuni delle dieci elencate, e 19 ad almeno tre di esse.

Molti dei geni coinvolti sono associati alla regolazione o all’espressione di componenti del sistema immunitario; tra essi, il più promettente (per eventuali, future terapie) è quello che regola la cosiddetta CD40 ligando, o CD40L, una proteina espressa soprattutto nei linfociti T attivati (cellule fondamentali del sistema immunitario). Questa proteina è coinvolta nella malattia di Crohn, nella colite ulcerosa e nella celiachia. Gli studi ora proseguiranno, anche per verificare le potenzialità di terapie specifiche dirette contro la CD40L, e di farmaci e cure che potrebbero rivelarsi efficaci in più di una malattia autoimmune. Agendo sui geni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 13 settembre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: 
Epatite autoimmune: individuate le cellule responsabili della malattia
Identificato gene associato alla spondilite anchilosante


Tags: artrite giovanile idiopatica, celiachia, colite ulcerosa, diabete di tipo 1, lupus, malattia di Crohn, psoriasi, spondilite anchilosante



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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