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Il kefir era già prodotto e consumato 3.500 anni fa. Lo dimostra una mummia cinese

Il kefir, bevanda che deriva dalla fermentazione del latte, era prodotto e consumato già nel Neolitico, e arrivava probabilmente dalle steppe cinesi. Da lì si sarebbe poi diffuso in Europa attraverso il Caucaso, e seguendo un’altra direttrice verso la costa asiatica. Lo hanno scoperto i paleogenetisti e paleoantropologi dell’Institute of Vertebrate Paleontology and Paleoanthropology della Chinese Academy of Sciences di Pechino, che per oltre dieci anni hanno lavorato sulle mummie ritrovate nel sito di Xiaohe, nello Xinjiang, e che ora, grazie alle nuove possibilità delle tecniche di analisi genetica, hanno fatto alcune scoperte sorprendenti.

Da tempo è stato dimostrato che il formaggio apparteneva alla dieta degli indiani già attorno al 4-6.000 a.C. e a quella delle popolazioni mediterranee 7.000 anni fa. Tuttavia, sui derivati fermentati come appunto il kefir le informazioni erano molto più lacunose. Per questo i ricercatori cinesi si sono concentrati sull’analisi dei grani ritrovati in particolare su una delle mummie, e hanno dimostrato che contenevano Lactobacillus kefiranofaciens, cioè il principale lattobacillo usato nella fermentazione del latte, in questo caso di capra, insieme ad alcuni lieviti. Come ricordato su Cell, si tratta della prima prova dell’esistenza dei grani di fermentazione, tipicamente utilizzati per innescare i processi fermentativi, forse arrivati dalle steppe delle zone più a nord. Gli autori sono andati oltre, confrontando i geni trovati con quelli di altri campioni, successivi, e scoperti in tutta l’Eurasia. Hanno così individuato due direttrici attraverso le quali si sarebbe diffusa la cultura del kefir, una interna, approdata in Germania, e una più meridionale, che è giunta fino alle coste cinesi, e tracciato i successivi adattamenti dei lattobacilli alla specie umana. I batteri hanno infatti modificato il proprio genoma per essere più capaci di vivere mnell’inestino umano, e questo li ha resi probiotici: benefici di ancora oggi godiamo.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 2 ottobre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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