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Il cuore risente della microgravità. Nuovo
studio sulla Stazione Spaziale Internazionale

Il cuore non gradisce affatto le condizioni di microgravità della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), e di questo si dovrà tenere conto nella programmazione delle missioni verso la Luna o Marte. Dopo un solo mese, infatti, le cellule cardiache mostrano evidenti segni di sofferenza, solo in parte reversibile con il rientro a Terra.

La conferma del fatto che, come osservato negli astronauti, le cellule cardiache soffrono, arriva da uno studio effettuato dai ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora, i cui risultati sono stati pubblicati su PNAS. In esso gli autori hanno fatto differenziare delle cellule staminali indifferenziate totipotenti (iPSCs) in cardiomiociti (le principali cellule del cuore) e poi, dopo aver creato un ambiente adatto anche all’attività contrattile (una celletta grande quanto mezzo telefono cellulare), ne hanno inviato 48 campioni sull’ISS, mentre a Terra altrettanti erano sottoposti agli stessi controlli. Grazie alla collaborazione, in particolare, dell’astronauta Jessica Meir, che cambiava il terreno di coltura ogni settimana e raccoglieva anche campioni da fissare e analizzare a Terra, le cellule sono state mantenute in vita e registrate, con un messaggio da 10 secondi inviato in tempo reale ogni 30 minuti sulla Terra. Il risultato, dopo un mese, è stato chiarissimo. I cardiomiociti dell’ISS hanno perso forza contrattile e hanno iniziato a mostrare battuti irregolari (aritmie), con intervalli anche di cinque secondi tra un battito e l’altro (sulla Terra la media è di un secondo). Le unità fondamentali del muscolo, i sarcomeri, si sono accorciati e frammentati, mentre i mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, si sono allargati, segno tipico di una sofferenza. In più, erano chiaramente visibili i segni di un aumento dei fenomeni ossidativi e infiammatori (come già descritto negli astronauti in altri studi). In seguito, gli stessi ricercatori hanno inviato cardiomiociti con farmaci protettori del cuore, per verificarne l’efficacia in quelle condizioni, ma i risultati di quella parte di esoerimenti non sono ancora disponibili.

Quello che è comunque chiaro, al di là degli annunci che prevedono la permanenza dell’uomo nello spazio per lunghi periodi a breve, è che, al contrario, c’è ancora molta strada scientifica da percorrere prima di poter mandare gli astronauti in missioni lunghe in sicurezza.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 1 ottobre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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