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Colite ulcerosa e morbo di Crohn: la causa forse è un batterio. E ci sono nuove terapie

La colite ulcerosa, il morbo di Chron e altre malattie intestinali infiammatorie potrebbero avere un’origine batterica. La buona notizia è che, se così fosse, ci potrebbero essere cure finalizzate a combattere la patologia tramite la lotta all’infezione. Nel frattempo, aumentano le prove a favore di due nuovi anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena)..

La possibilità che all’origine della colite ulcerosa ci sia un batterio è stata illustrata in un articolo pubblicato su Science nel quale i ricercatori dell’Università di Cleveland, in Ohio, sono partiti da una constatazione. Nei malati si nota una ridotta presenza di un tipo specifico di immunoglobuline A, chiamate secretorie o SIgA. Questi anticorpi sono cruciali per preservare le membrane intestinali, perché combattono continuamente contro i componenti del microbiota che potrebbero danneggiarle. La domanda quindi è stata: come mai nell’intestino dei malati ce ne sono di meno, mentre gli stessi anticorpi, nel sangue, sono normali? La risposta è arrivata da una serie di test in vitro e su modelli animali, dai quali è emerso che nei malati c’è un’elevata concentrazione di un batterio che è stato chiamato Tomasiella immunophila (T. immunophila) e che si nutre di alcuni componenti delle pareti intestinali. Ma per raggiungere lo scopo, la Tomasiella degrada le SIgA, che risultano quindi ridotte e meno efficienti. Da ciò derivano le ionfiammazioni e i danni alle mucose. Se tutto ciò sarà confermato, contrastare o neutralizzare la Tomasiella potrebbe signifcare curare queste malattie (in modo non molto diverso da ciò che accade con helicobacter pylori e l’ulcera gastrica).

In attesa di saperne di più, le cure già a disposizione potrebbero presto aumentare. JAMA ha infatti pubblicato i risultati di due studi sull’efficacia di un anticorpo monoclonale chiamato Risankizumab, diretto contro una citochina chiamata interleuchina 23, condotti su circa mille pazienti reclutati in 261 centri di 41 paesi. Nella fase di induzione, cioè alle prime somministrazioni, dopo 12 settimane il tasso di remissione con l’anticorpo è stato del 20%, contro il 6,2% del placebo, mentre nella fase successiva, di mantenimento, le remissioni con due dosaggi di anticorpo sono state attorno al 37-40%, e quelle del placebo del 25%.

Il secondo anticorpo, chiamato Tulisokibart, diretto contro un’altra citochina, il tumor necrosis factor (TNF)-like cytokine 1A (TL1A), è più indietro nelle sperimentazioni, ma per ora sembra aver superato bene le fasi 1 e 2. Come riportato sul New England Journal of Medicine, infatti, su 135 pazienti trattati per un totale di dieci settimane, coloro che hanno ricevuto il monoclonale hanno avuto una remissione nel 26%, coloro che hanno ricevuto un placebo nell’1% dei casi. Gli studi ora proseguiranno su un numero più ampio di pazienti, per verificare la reale efficacia e gli eventuali effetti collaterali. 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 30 settembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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