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Epatite autoimmune: individuate le cellule responsabili della malattia

Scoperto al Mount Sinai School of Medicine di New York il meccanismo con cui i linfociti T vanno in confusione e considerano il fegato un corpo estraneo da eliminare.

di Agnese Codignola

Un team di ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York ha svelato il meccanismo con cui insorge l’epatite autoimmune, una patologia rara in cui si assiste a una sorta di “rigetto” del fegato da parte dell’organismo, il quale lo riconosce come estraneo. 

Secondo gli esperti statunitensi, che hanno pubblicato i risultati della ricerca sul Journal of Clinical Investigation, a giocare un ruolo da protagonista in questa malatti asarebbe una popolazione particolare di cellule del sistema immunitario chiamate mTEC (da medullary thymic epithelial cells).

LE CELLULE T VANNO IN TILT - Tali cellule funzionano un po’ come se fossere allenatori: istruiscono le cellule T sulla differenza tra tessuti estranei (o comunque da eliminare) e tessuti da non attaccare. 

I ricercatori hanno dimostrato, in un modello animale, che se si sopprime il gene che regola la sintesi delle mTEC, i linfociti T vanno direttamente contro il fegato senza attaccare altri tessuti sani.

Il gene delle mTEC sembra quindi fondamentale per l’insorgenza della malattia. Grazie a questo risultato sarà possibile  studiare meglio cause, meccanismi e terapie specifiche per la malattia.  

LA MALATTIA - L’epatite autoimmune è una malattia piuttosto rara: colpisce circa una persona ogni 10mila. Sono soprattutto le donne  (circa il 70%) a esserne affette. Si manifesta in genere prima dei 40 anni, ma esiste anche una forma che colpisce i bambini.

In pratica è una forma aggressiva di epatite, ovvero un’infiammazione cronica del fegato causata da un difetto del sistema immunitario: le nostre difese immunitarie per errore attaccano il fegato, provocandone l’infiammazione che può condurre alla cirrosi e quindi a danni permanenti.

I SINTOMI - Il sintomo più frequente è la fatigue (stanchezza cronica). Altri sintomi sono: ingrossamento del fegato, ittero, prurito, rash cutanei, dolori articolari e addominali, nausea, vomito, inappetenza, urine scure, feci chiare o grigiastre.

LE TERAPIE - È ancora poco conosciuta e, a oggi, non esistono terapie specifiche. Per evitare l’assalto del sistema immunitario al fegato si ricorre ai corticosteroidi o addirittura al trapianto. Ma ora grazie alla scoperta del ruolo di mTEC nella sua insorgenza si inizia a capire meglio che cosa succede nell’organismo quando il sistema immunitario non riconosce più il proprio fegato.

Data ultimo aggiornamento 15 novembre 2014
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: epatite autoimmune, fegato



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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