SENO
Pembrolizumab, buoni risultati contro i tumori tripli negativi

I tumori al seno chiamati tripli negativi, perché privi dei recettori degli ormoni - estrogeni e progesterone - e privi della mutazione del gene HER2 (caratteristiche che invece hanno gli altri tipi di carcinoma mammario), rappresentano tra il 10 e il 15% del totale e sono, a oggi, una vera e propria sfida terapeutica, visto che le armi a disposizione non sono “potenti" come quelle a disposizione per le altre forme di tumore al seno. Adesso, però, arriva in aiuto l’immunoterapia, e in particolare l’anticorpo monoclonale pembrolizumab, già utilizzato contro il melanoma e altri tipi di cancro.
I risultati di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine dagli oncologi della Queen Mary University di Londra hanno infatti dimostrato che il pembrolizumab, abbinato alla chemioterapia tradizionale, offre un netto beneficio, rispetto alla sola chemioterapia. La sperimentazione è stata condotta su oltre 1100 donne, in 21 Paesi diversi, con carcinomi tripli negativi allo stadio II e III. Le pazienti sono state trattate prima dell’intervento chirurgico, per ridurre la massa del tumore. Ebbene, dopo il trattamento il 65% delle donne che avevano ricevuto anche il pembrolizumab non ha mostrato più la presenza di cellule cancerose, contro il 51% di quelle trattate con la sola chemioterapia: il vantaggio è stato quindi del 14%, un valore niente affatto trascurabile. L’assenza di tumore dopo il trattamento farmacologico è considerata particolarmente importante: le pazienti in questa condizione hanno una probabilità superiore al 90% di essere curate in modo efficace, abbinando la chirurgia (asportazione di una parte più o meno ampia della mammella). Nelle donne con carcinoma residuo, invece, c’è una probabilità del 40-50% che il tumore si ripresenti, anche se viene poi completamente rimosso durante l’intervento chirurgico. La recidiva si verifica spesso entro tre anni.
Lo studio è tuttora in corso, ma le cure - dopo l’intervento - sono adesso limitate al pembrolizumab o al placebo, senza chemioterapia. Non esistono dati ufficiali, ma ciò che si vede - dicono i ricercatori - è una diminuzione del numero di recidive anche sul lungo periodo per le donne trattate con il pembrolizumab, rispetto alle altre. «Avremo presto ulteriori risultati e siamo cautamente fiduciosi» - ha dichiarato il professor Peter Schmid, coordinatore dello studio.
A.C.
Data ultimo aggiornamento 29 febbraio 2020
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