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Nuova tecnica per "scovare"
il Covid-19 con l’ecografia

Uno studio pubblicato sul Journal of Ultrasound Medicine dai ricercatori dell’Università di Trento fornisce validità scientifica alla possibilità di utilizzare anche le ecografie come strumento di diagnosi del coronavirus (attualmente, invece, questa tecnica viene poco usata), e suggerisce un protocollo - chiamato Protocollo di Trento - che, già convalidato in una decina di ospedali, potrebbe aiutare ad accelerare le diagnosi di chi è sintomatico e, probabilmente, migliorarne anche l’affidabilità. A metterlo a punto sono stati, fra gli altri, gli ecografisti del Policlinico Gemelli di Roma, del Policlinico San Matteo di Pavia e dell’Ospedale di Lodi che, in accordo con un’azienda tedesca specializzata in strumentazioni ecografiche e con la ATL-Ecografi Wireless di Milano, hanno realizzato un software apposito, poi sperimentato in alcune strutture di Pronto Soccorso, con buoni risultati.

Lo studio descrive quali sono le caratteristiche ecografiche tipicamente associate all’infezione da COVID-19 nei polmoni, gli organi che sotto l’attacco della polmonite interstiziale (indotta in alcuni pazienti dal coronavirus) diventano molto diversi da quelli sani. L’ecografia polmonare “potenziata” con il nuovo software permette di vedere lesioni che normalmente sfuggono alle radiografie (queste lesioni sono invece diagnosticabili quasi sempre tramite la TAC, ma le apparecchiature per eseguire questi esami non sono sempre disponibili come quelle per l’ecografia ed espongono i pazienti a una certa quantità di radiazioni). Inoltre l’ecografia si può fare velocemente anche in ambienti separati da quelli in cui si trovano gli altri pazienti, e questo aiuterebbe a limitare il numero di contagi ospedalieri. Infine, l’ecografia può essere effettuata direttamente al letto di un malato che sia intubato o anche solo ventilato, per monitorare meglio l’andamento della polmonite e la risposta alle terapie.

«Per la prima volta, la validità scientifica della tecnica che abbiamo proposto è stata accettata, e dunque speriamo che il nostro lavoro possa aiutare chi deve affrontare la pandemia» - ha detto Paolo Giorgini, direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’informazione e Computer Science all’Università di Trento. Il Dipartimento ospita l’Ultrasound Laboratory Trento (ULTRa), coordinato da Libertario Demi, che ha sviluppato la nuova tecnica. «Siamo disponibili - ha affermato Demi - per formare gli operatori sanitari e sviluppare ulteriormente algoritmi che possano aiutarli a gestire la situazione».

A.C.
Data ultimo aggiornamento 30 marzo 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


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Tags: coronavirus



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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