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Coronavirus, l’OMS punta
su quattro terapie sperimentali

di Agnese Codignola

Si chiama Solidarity Trial, ed è un mega-programma di sperimentazione promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in tempi record e con procedure ultrasemplificate con uno scopo molto chiaro: convalidare o meno quattro tra le terapie contro il COVID-19 giudicate più promettenti.

Il protocollo, messo a punto tenendo conto del fatto che dovrà essere applicato in numerosi Paesi con sistemi sanitari anche molto diversi fra loro e su migliaia di pazienti, prevede che, una volta raccolto il consenso del malato, il medico inserisca i dati nell’apposito sito, segnalando eventuali altre malattie. A quel punto il programma assegnerà quel paziente a uno tra i quattro trattamenti, a seconda di ciò che è disponibile in quel centro e di che cosa è stato già somministrato agli altri pazienti, in modo da avere, alla fine, una distribuzione equilibrata delle terapie. Al medico non è richiesto altro se non di segnare il momento della dimissione o del decesso, e l’eventuale necessità di ventilazione.

Questi pochi dati dovrebbero essere sufficienti per capire, in tempi brevi, se una delle terapie funziona. Va sottolineato – come fa notare la rivista Science – che non saranno inseriti nel Solidarity Trial anche gruppi di pazienti non trattati, o trattati con un placebo (i cosiddetti gruppi di controllo), come invece si richiede, di solito, agli studi sui farmaci, per avere un riferimento. Ma in questo caso si conta sui grandi numeri e, soprattutto, si cerca di agevolare il lavoro dei medici, già alle prese con giornate convulse, che non avrebbero la possibilità di compilare schede complesse. Per le valutazioni più articolate ci sarà tempo quando la pandemia sarà passata.

Le quattro terapie scelte, dopo un attento esame delle moltissime opzioni proposte in tutti i Paesi, sono:

1) l’antivirale remdesivir, inizialmente sviluppato per combattere Ebola (malattia contro la quale non aveva dato esiti del tutto soddisfacenti), provato anche contro i coronavirus e al momento già in sperimentazione, da solo, in diversi Paesi (compresa l’Italia).

2) L’antimalarico clorochina e il suo parente stretto idrossiclorochina, molto amato da Donald Trump, che sembra avere una qualche efficacia per motivi non del tutto chiari, ma che è anche tossico, e non andrebbe utilizzato senza solide basi scientifiche e senza che vi sia un medico a seguire il protocollo.

3) La coppia ritonavir/lopinavir, in uso contro l’HIV e anche contro il Covid-19, sia pure con una modalità off label (cioè al di fuori dei protocolli approvati finora dalle autorità sanitarie). Pochi giorni fa i medici cinesi hanno pubblicato dati molto deludenti su di essa, ma si è deciso di approfondire.

4) La stessa associazione rinforzata da uno stimolare del sistema immunitario, l’interferone beta, che potrebbe potenziare l’efficacia dei due farmaci.

Si spera così di individuare in tempi molto brevi una o più cure che possano attenuare i sintomi e, con essi, la necessità di ricorrere alla terapia intensiva. Inoltre si pensa che, se uno dei quattro trattamenti fosse efficace anche solo parzialmente, si potrebbe utilizzare come profilassi per tutti coloro che sono più esposti, come il personale sanitario, o per chi è particolarmente a rischio, come gli immunodepressi o le persone anziane già colpite da altre malattie, che rappresentano la stragrande maggioranza di coloro che soccombono al virus. 

Data ultimo aggiornamento 27 marzo 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: 
Perché funziona il farmaco utilizzato dai medici di Napoli
Caccia agli anticorpi di chi ha sconfitto il coronavirus


Tags: coronavirus



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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