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Le infiammazioni “silenti”
dietro a molte gravi malattie

Appare sempre più chiaro ai ricercatori che i fenomeni infiammatori sottotraccia, capaci di alimentare lentamente reazioni improprie del sistema immunitario, hanno un ruolo importante nell’insorgenza di patologie come i tumori e le malattie neurodegenerative. Molto più coinvolti di altri in questo processo di "combustione" infiammatoria, precursore anche di patologie autoimmuni, sono gli organi a contatto con il mondo esterno, tra cui pelle, intestino e vie aree. Per limitare l’"accensione" cronica del nostro sistema difensivo possiamo però fare prevenzione seguendo corretti stili di vita. Un’analisi approfondita di questi temi nell’articolo del Corriere della Sera a firma di Elena Meli.  

Fino a pochi anni fa l’infiammazione era un problema come gli altri, un sintomo da “spegnere” con i medicinali giusti ma di cui non preoccuparsi più di tanto. Oggi la visione è cambiata e la flogosi (il nome “tecnico” dell’infiammazione) è al centro degli interessi di medici e ricercatori perché si è capito che questo “fuoco” può compromettere la salute ed è fra i meccanismi principali di una serie interminabile e variegata di malattie.

Danni differenti - L’infiammazione è protagonista al punto che iniziano a nascere dipartimenti specifici dedicati a studiarla e curarla in tutti i suoi aspetti, per provare ad arginarne gli effetti, che oggi si sa essere molto più importanti di quanto non si sospettasse. «Patologie diverse fra loro come infarto, cancro, obesità, diabete, malattie neurodegenerative condividono meccanismi infiammatori — spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Irccs Humanitas di Rozzano (Milano) e docente dell’Humanitas University. — Nell’obesità, per esempio, la sovrabbondanza di tessuto adiposo invia segnali che disorientano i macrofagi, cellule che di norma orchestrano le funzioni del grasso corporeo e che con l’eccesso di peso iniziano invece a produrre molecole pro-infiammatorie, che sono alla base delle conseguenze negative dei tanti chili di troppo, tumori compresi. Si tratta di un’infiammazione “a combustione lenta”, di cui non è immediato riconoscere la presenza». Un fuoco subdolo ma pericoloso perché, come spiega Francesco Prati, presidente del Centro per la Lotta contro l’Infarto – Fondazione Onlus, «in presenza di infiammazione è più probabile che le placche aterosclerotiche si rompano provocando un infarto, inoltre le placche più “cattive” contengono una quantità maggiore di cellule infiammatorie. Il colesterolo alto è uno dei fattori che più incrementa il livello di infiammazione generale nei vasi, per cui una prima mossa preventiva è cercare di tenerlo basso con uno stile di vita sano, fatto di dieta equilibrata e movimento regolare; non ha invece funzionato la valutazione della concentrazione di proteina C-reattiva circolante per capire il grado di rischio cardiovascolare, perché si tratta di un marcatore di infiammazione poco specifico».

Il ruolo dei germi e dei batteri dell’intestino - Il problema maggiore, visto che il “fuocherello” che poi provoca guai spesso è minimo ma costante, è proprio identificare chi lo cova quando non c’è una patologia evidentemente infiammatoria in corso: tuttora non ci sono marcatori precisi, ne esistono tanti usati per la diagnosi delle diverse patologie ma non è ancora semplice costruire un “profilo infiammatorio” per ciascuno di noi, per capire se stiamo nascondendo una flogosi cronica sotto soglia che potrebbe provocare danni. Difficile anche riconoscere tutti i motivi che ci rendono così soggetti a “bruciare”, come osserva Sandro Ardizzone, responsabile della gastroenterologia all’Asst Fatebenefratelli – Sacco di Milano. «Le ragioni sono tante. In parte conta lo stile di vita occidentale che, per esempio, riduce il contatto con i germi durante l’infanzia non consentendo al sistema immunitario di svilupparsi e modulare le sue risposte in modo corretto, facilitando perciò la comparsa di reazioni infiammatorie esagerate o improprie; un ruolo lo gioca poi il microbiota, ovvero i germi che vivono nel nostro intestino. In questo organo il contatto con elementi che arrivano dall’esterno è continuo e ciò provoca una reazione infiammatoria che di solito è controllata e localizzata; in alcune persone, per motivi non ancora chiari, la risposta diventa esagerata, cronica e quindi patologica».  

Le malattie autoimmuni correlate - Da qui la comparsa di malattie infiammatorie croniche a carico dell’intestino o di altri organi e sistemi più a contatto con l’esterno e quindi con stimoli che inducono una reazione immuno-infiammatoria (che tuttavia in chi è sano si autolimita): non è un caso se pelle e vie aeree sono più spesso coinvolte da patologie con una forte componente infiammatoria come la psoriasi, la dermatite atopica, le allergie, l’asma. «La flogosi è una risposta positiva di difesa, ma quando va fuori controllo o si esplica contro elementi innocui diventa un problema: l’infiammazione minima ma persistente di un allergico o un asmatico alla lunga induce il rimodellamento delle vie aeree e porta alla perdita di funzione, ovvero a sempre maggiori difficoltà respiratorie — aggiunge Giorgio Walter Canonica, responsabile del Centro Medicina Personalizzata – Asma e Allergologia all’Humanitas. — Quando ci sono i sintomi occorre intervenire per una corretta terapia, è invece più difficile intercettare l’infiammazione sotto soglia che molti hanno senza averne alcun segno. In futuro dovremo individuare e gestire anche questi soggetti, per il momento possiamo fare prevenzione con uno stile di vita sano che metta al bando ciò che “accende” una reazione infiammatoria, come per esempio l’alimentazione sbagliata, la sedentarietà, il fumo».

L’infiammazione e il cervello -  Il sistema nervoso e quello immunitario sono più “connessi” di quanto sembri a prima vista, spiega Alberto Mantovani: «Alcuni mediatori immunitari, come per esempio l’interleuchina 1, li troviamo infatti anche nel cervello con ruoli ancora tutti da scoprire; inoltre, sempre più studi sembrano suggerire un nesso fra immunità e mente». «Per esempio — continua Mantovani — è stato dimostrato, che negli anziani che vivono isolati i livelli dei mediatori dell’infiammazione sono più elevati rispetto a quelli che si riscontrano in chi coltiva delle relazioni». Un legame fra flogosi e benessere cerebrale che potrebbe avere ripercussioni interessanti, come mostra un’indagine condotta da ricercatori dell’Humanitas assieme a colleghi dell’Istituto di Neuroscienze del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), pubblicata di recente su eLife: un’eccessiva infiammazione aumenta infatti i livelli di una proteina coinvolta in malattie del neurosviluppo come la sindrome di Rett; bloccando l’infiammazione con un anti-IL1, già usato in clinica, tutto torna nella norma, difetti di apprendimento inclusi. I dati sono stati raccolti nei topolini, è presto quindi per dire se sarà lo stesso nell’uomo, ma si conferma l’ipotesi che l’infiammazione fa male pure al cervello.

Negli over 65 i danni sono anche peggiori - L’infiammazione aumenta col crescere degli anni ed è anche associata a una maggior mortalità negli anziani. Il motivo potrebbe risiedere nella flora batterica intestinale. Stando a una ricerca della McMaster University, con esperimenti sui topolini, ci si è accorti che squilibri nella composizione del microbiota associati all’invecchiamento rendono l’intestino più permeabile, consentendo il rilascio di prodotti batterici che favoriscono l’infiammazione e minano la funzionalità del sistema immunitario. Questo è correlato a problemi che aumentano la mortalità: gli over 65 con livelli più elevati di citochine pro-infiammatorie come il TNF sono più fragili e meno autonomi. «L’obiettivo ora è identificare le popolazioni batteriche protettive e riuscire a preservarle o favorirne la proliferazione nell’intestino degli anziani: questo potrebbe mantenerci in salute e attivi più a lungo», dicono i ricercatori.

Il fattore positivo dell’infiammazione -  Quando mangiamo, nell’intestino si accende l’infiammazione ma in questo caso non è detto sia un male. Lo sottolinea uno studio, pubblicato su Nature Immunology, secondo cui, poiché in ogni boccone ci sono nutrienti e batteri, l’organismo deve sia distribuire il glucosio, sia gestire germi potenzialmente pericolosi. Il corpo lo fa accendendo un processo di infiammazione controllata e localizzata. Dopo un pasto, intorno al tratto gastroenterico cresce il numero di macrofagi: cellule immunitarie “spazzine” che producono l’interleuchina 1 beta, in grado di stimolare la produzione di insulina per una corretta distribuzione del glucosio ingerito. L’interleuchina, però, fa anche sì che parte del glucosio venga messo a disposizione del sistema immunitario, che può così restare “vigile”; ma se mangiamo troppo poco, l’energia viene indirizzata verso funzioni vitali e il sistema immunitario si indebolisce, aprendo la via a infezioni.’

Data ultimo aggiornamento 9 maggio 2017
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: Alberto Mantovani, allergie, asma, flora batterica intestinale, infiammazione, intestino, malattie autoimmuni, microbiota, obesità



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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