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La psoriasi fattore di rischio anche per la depressione

La psoriasi, di qualunque gravità, è associata a un aumento del rischio di sviluppare una depressione. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Dermatology dai ricercatori della New York University School of Medicine (Stati Uniti). Gli studiosi hanno preso in esame e rielaborato i dati clinici di migliaia di persone che erano state coinvolte, tra il 2009 e il 2012, in una grande rilevazione denominata National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES). Tra queste persone c’erano anche 350 malati di psoriasi.

Ebbene, dopo aver introdotto tutti i fattori correttivi del caso, i dermatologi e gli immunologi di New York hanno visto che l’incidenza della depressione grave, certificata in base a questionari convalidati, era del 7,8% in generale, ma del 16,5% tra i malati di psoriasi, e che questa circostanza non dipendeva dall’estensione delle lesioni sulla pelle. Inoltre, mentre tra i malati di psoriasi la percentuale di coloro che riferiva di avere impedimenti all’attività quotidiana a causa della depressione era del 23,5%, tra le persone sane la stessa era del 15,4%.

«La psoriasi è un fattore di rischio per la depressione - confermano i ricercatori - e, nello stesso tempo, la depressione può fungere da grilletto per la psoriasi. Non sono però ancora completamente chiari i meccanismi che portano a questi collegamenti». Alla luce di questo, aggiungono gli studiosi, i malati di psoriasi, soprattutto se con altri fattori di rischio, andrebbero seguiti anche per ciò che riguarda i disturbi dell’umore, ed eventualmente curati.

A.C.
Data ultimo aggiornamento 9 ottobre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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