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Dal super-sistema immunitario dei pipistrelli cure per noi?

di Agnese Codignola

Perché i pipistrelli, fondamentali per gli equilibri degli ecosistemi, ospitano virus in gran numero e, soprattutto, virus molto aggressivi? Quali sono le peculiarità di questi mammiferi che li rendono resistenti alle infezioni ma, al tempo stesso, pericolosi, via via che il loro habitat si restringe (a causa delle attività umane) e che aumentano, di conseguenza, i contatti con altri animali e con l’uomo?
Queste domande sono all’origine di molti studi condotti negli ultimi anni, perché più si comprendono le specificità della coesistenza tra virus e pipistrelli, più si può capire come nascono le epidemie, compresa quella di coronavirus. E qualora fossero chiari tutti i dettagli di ciò che accade, si potrebbe pensare di sfruttare qualche caratteristica della resistenza di questi animali ai virus per trasformarla in cura per l’uomo, che non è altrettanto insensibile alle infezioni virali.

Nelle scorse settimane uno studio dell’Università della California, sede di Berkeley, pubblicato su eLife, ha aggiunto diversi elementi molto importanti per capire il fenomeno nel suo complesso. Il dato di partenza è un’informazione già nota: i pipistrelli resistono ai virus perché hanno un sistema immunitario che, a differenza di quello di tutti gli altri mammiferi, è perennemente attivo e quindi molto più efficace (negli altri mammiferi, invece, le difese immunitarie si attivano solo in seguito a uno stimolo). Ciò determina alcune conseguenze molto specifiche. Appena entrano in un pipistrello, gli ospiti indesiderati si trovano infatti subito di fronte a una potente risposta immunitaria, che si esplica con un meccanismo molto particolare: le prime cellule attaccate avvisano quelle vicine attraverso una grande produzione di proteine chiamate interferoni, e così tutte riescono a proteggersi in tempo. Per questo alcuni virus muoiono, ma quelli che sopravvivono accelerano la riproduzione, e mutano velocemente il proprio codice genetico per cercare di adattarsi e di resistere all’attacco. Questo è esattamente ciò che li rende più aggressivi, caratteristica che mantengono anche quando fanno il salto di specie (o spillover, in inglese). 

Per avere una conferma di questi meccanismi, i ricercatori hanno fatto alcuni esperimenti con le cellule in coltura di due specie di pipistrello, quello della frutta egiziano (Rousettus aegyptiacus) che ospita il virus Marburg (responsabile di gravi forme di febbre emorragica), e la volpe volante australiana (Pteropus alecto) che ospita il virus Hendra (molto aggressivo, anche mortale), e hanno confermato che la produzione di interferone, sia pure con tempi leggermente diversi, si scatena subito dopo l’infezione e permette a una parte delle cellule di sopravvivere. Molto diverso, invece, il comportamento di altri mammiferi. Le cellule di scimmia verde africana (Vero), se vengono infettate con un virus di cui possono costituire il serbatoio, Ebola, non hanno alcuna produzione di interferone, e muoiono.

Le cellule di pipistrello che sopravvivono, però, costituiscono un nuovo terreno di attacco per i virus, e il ciclo ricomincia, in un equilibrio che spiega perché questi animali riescano a resistere, e selezionino ceppi virali via via più resistenti e aggressivi. Tutto ciò è stato anche riprodotto al computer, e i calcoli effettuati hanno ulteriormente confermato le osservazioni sulle linee cellulari.

Ora che si è capito perché i pipistrelli ospitano virus pericolosi per l’uomo senza risentirne, e perché li trasmettono a volte ad animali intermedi i quali, in seguito, infettano l’uomo, si può iniziare a studiare sia la possibilità di riprodurre alcuni passaggi della loro risposta immunitaria, sia le evoluzioni genetiche dei virus, che potrebbero rivelarne nuovi punti deboli da sfruttare per i vaccini o per nuovi farmaci. 

Data ultimo aggiornamento 31 marzo 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


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Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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