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Trovato, ancora liquido, il vino usato 2000 anni fa dai romani (anche per la cremazione) - L'Assedio Bianco

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Trovato, ancora liquido, il vino usato 2000 anni fa dai romani (anche per la cremazione)

La tomba dei sei patrizi romani, tre maschi e tre femmine, cremati dopo la morte e posti in urne ancora sigillate, scoperta nell’antica città di Carmo (oggi Carmona), in Spagna nel 2019, durante la costruzione di un edificio in Calle Sevillat, continua a riservare sorprese. Dopo il ritrovamento di una boccetta con patchouli, profumo realizzato con una resina proveniente da molto lontano (non dal Mediterraneo), è ora la volta del vino liquido più antico mai ritrovato, probabilmente un bianco progenitore di quelli ancora prodotti nella zona. L’urna di uno degli uomini, infatti, presentava un liquido dalle sfumature rossastre, che i ricercatori dell’Università di Cordoba hanno analizzato del punto di vista chimico. Come hanno poi illustrato sul Journal of Archaeological Science: Reports anche con diverse foto, il vino era all’interno di un’ampolla di vetro insieme ai resti di ossa provenienti dal letto della cremazione e a un anello d’oro. Si tratta dei resti di un uomo, perché il vino, nella società romana dell’epoca, era precluso alle donne. Un’altra urna, quella del patchouli, di una delle donne, conteneva anche tre gioielli di ambra e resti di un tessuto sotto indagine, che potrebbe essere seta, ma nessuna traccia divino. I corredi funebri riprendevano quindi le usanze dei vivi.

Quanto al liquido, le analisi hanno confermato che era vino, per la specifica composizione chimica, che consente di escludere che si tratti di residui di altro, per esempio di vetro o di ossa e, in particolare, per la presenza di sette polifenoli che ancora oggi si ritrovano nei vini della zona (il Montilla-Moriles, lo Jerez e il Sanlúcar), mentre l’assenza di acido siringico dimostra che si trattava di un vino bianco.

Si sapeva, da fonti bibliografiche e storiche, che il vino era conosciuto e utilizzato, ma finora non erano stati trovati residui così antichi, e soprattutto così ben conservati, ancora allo stato liquido. Non si può escludere che il vino fosse usato anche per migliorare e accelerare la cremazione, visto il contenuto alcolico. Per questo la scoperta è considerata eccezionale.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 1 luglio 2024
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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