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Sperimentazione animale non più
obbligatoria per tutti i farmaci

di Agnese Codignola

Con un atto che, con ogni probabilità, avrà conseguenze concrete assai limitate ancora per diversi anni, ma che ha un significativo valore simbolico, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato pochi giorni fa una legge che concede alla Food and Drug Administration (FDA, l’ente che regola il mercato dei medicinali) la possibilità di non richiedere test sugli animali per alcuni tipi di sperimentazioni relative ai farmaci per uso umano. Viene così aggiornato un regolamento varato nel 1938, con una normativa che tiene conto dei progressi fatti in quasi un secolo dalla tecnologia, capace di ottenere oggi molte informazioni preliminari in più senza ricorrere agli animali.

Secondo la stragrande maggioranza degli osservatori, tuttavia, si tratta di un provvedimento che avrà solo qualche applicazione in un ambito molto specifico, e cioè, per esempio, quando le aziende chiedono di estendere le indicazioni di un farmaco già presente sul mercato (e hanno quindi già condotto in precedenza i test sui modelli animali per situazioni simili), quando si presentano versioni aggiornate dei vaccini (in molti casi era già possibile), o quando si devono eseguire test molto preliminari (condurne alcuni in laboratorio potrebbe ridurre di molto il numero di animali necessari per quelli finali) o accessori, quali quelli di tossicità cutanea - perché, a oggi, per quanto riguarda tutti i medicinali nuovi, la sperimentazione su organismi viventi complessi resta un passaggio considerato dai legislatori ineludibile. Nei fatti, nessuna agenzia regolatoria si prenderebbe la responsabilità di autorizzare la sperimentazione, su un essere umano, di un farmaco o un vaccino senza che siano disponibili almeno i dati essenziali sui modelli animali, quali quelli sulla tossicità nell’organismo o quelli sull’efficacia

Dell’argomento, che tante polemiche continua a suscitare, si è occupata la rivista Science, con un riassunto dello stato dell’arte dei sistemi alternativi ai modelli animali: sistemi che hanno fatto progressi significativi negli ultimi anni, ma che sono ancora molto lontani, purtroppo, dal riprodurre la complessità di un organismo vivente.

I principali sistemi di valutazione alternativa sono due: quello che si basa sulle simulazioni al computer, cosiddetto in silico (dal silicio presente nel microchip, appunto, di un computer), sempre più aderenti alla realtà grazie all’intelligenza artificiale; e quello che sfrutta le tecnologie ibride (in grado di utilizzare, cioè, chip inseriti nelle colture di cellule e tessuti), o gli organoidi, cioè aggregati tridimensionali di cellule che sono simili ai tessuti, quanto ad architettura, organizzazione e funzioni, più di quanto non accada con le colture classiche, bidimensionali e composte da un solo tipo di cellule. Sono però tutti sistemi  ancora in una fase iniziale, che non possono in alcun modo rimpiazzare del tutto gli organismi viventi.

L’ESEMPIO COVID - Del resto, spiega ancora Science, basta tenere presente un numero: nove su dieci tra i farmaci che le aziende sperimentano (migliaia ogni anno) non arrivano all’uomo, neppure ai primissimi test preliminari, perché i risultati ottenuti sui modelli mostrano chiaramente che non è il caso di proseguire. Un dato che, di per sé, fa capire quanto sia indispensabile disporre di quel tipo di informazioni. Oppure, basta ricordare quanto accaduto con il virus SARS-CoV-2, responsabile del Covid: nonostante l’isolamento del coronavirus sia avvenuto all’inizio del 2020, per mesi nessuno ha potuto dire come si sarebbe comportato, e ancora oggi restano moltissime domande senza risposta. Questo è avvenuto anche perché non esistevano modelli animali capaci di riprodurre l’infezione per come avviene nell’uomo. Dalle epidemie di Sars e di Mers (veicolate da altri tipi di coronavirus) degli anni precedenti erano rimasti, in pochissimi laboratori del mondo, pochi esemplari di topi ai quali era stato inserito il recettore ACE2 umano (la "porta d’accesso" utilizzata dai virus per infettare le cellule) dopo anni di tentativi, ed è stato necessario riprodurre e diffondere quei modelli per compiere studi attendibili. Nessun metodo in vitro è stato capace di fornire quel genere di informazioni, e neanche oggi può farlo.

ALLA RICERCA DI ALTRI METODI - Per quanto riguarda le alternative, comunque, esistono vari dispositivi che riescono a far crescere diversi tipi cellulari con un’organizzazione simile a quella che si ritrova nei tessuti umani, per esempio utilizzando una base di polimeri (molecole composte da molte unità ripetute) e facendo arrivare alle cellule che vi si attaccano liquidi simili al sangue e agli altri fluidi corporei attraverso microcanali di vetro che sfruttano le caratteristiche fisico-chimiche specifiche dei microfluidi. In genere, in questi dispositivi viene poi inserito un chip che registra le variazioni chimiche ed elettriche: nel caso del fegato, che è l’organo dove maggiormente si verificano i danni da farmaci, si può misurare in questo modo la reazione delle cellule, e avere così una prima idea di ciò che succede, scartando già in questa fase le molecole più tossiche. Sistemi di questo tipo hanno mostrato, in alcuni studi, di essere in grado di identificare preventivamente l’80% dei farmaci da escludere dai test sull’uomo (dati poi confermati con gli studi sulla tossicità rilevata nei modelli animali): una percentuale elevata, ma che - sottolinea ancora Science - dovrà arrivare molto più vicina al 100% prima che si possa pensare di evitare il ricorso agli organismi complessi.

Ci sono poi gli organoidi, come dicevamo, molto utilizzati soprattutto per il cervello e il fegato, e in generale per scopi di ricerca pura, più che di verifiche sui farmaci. Tuttavia, va ricordato che, anche in questo caso, si tratta di abbozzi di strutture tridimensionali, utili per test di appoggio ma molto lontani dall’essere sostitutivi.
Uno dei pochi ambiti dove si sono fatti passi in avanti realmente significativi è invece quello della pelle, perché già negli anni Ottanta si è cercato di evitare di ricorrere agli animali per i cosmetici. Quando poi, nel 2004, l’Europa ha vietato la sperimentazione sugli animali per questi scopi, i progressi sono stati più rapidi e in gran parte risolutivi. Oggi esistono colture di cellule considerate classiche, che vengono accettate dalle agenzie regolatorie per l’approvazione appunto dei cosmetici. Iniziano anche a farsi strada i primi tentativi di utilizzare stampanti 3D per ottenere organoidi ancora più performanti.

I PROBLEMI ETICI - Gli studi per trovare possibili alternative vanno comunque avanti, perché la sperimentazione sugli animali pone pesanti temi etici, legati alle sofferenze inflitte in molti casi a questi esseri viventi (i ricercatori eviterebbero più che volentieri di utilizzare gli animali, se potessero). In più, per le aziende, così come per i centri di ricerca, lavorare con gli animali è molto costoso, e richiede una quantità rilevante di burocrazia (in tutti i Paesi più sviluppati ogni singolo passaggio è più che controllato, e deve essere preventivamente approvato dai comitati etici).
C’è quindi un comune interesse a giungere ad alternative realmente competitive e affidabili. Ma, per ora, quel momento è lontano, perché anche i farmaci apparentemente meno delicati possono comportare tossicità a volte mortali, che possono emergere solo nella complessità di un organismo, magari osservato per mesi proprio per verificare gli effetti a lungo termine (altro aspetto difficile da approfondire con le colture, che restano vitali per qualche giorno o, al massimo, settimana).
Infine, anche la stessa FDA sostiene la ricerca di alternative alla sperimentazione sugli animali: nel 2023, vi investirà 5 milioni di dollari.

Data ultimo aggiornamento 3 febbraio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Calano i test sugli animali ma cresce il grado di sofferenza



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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