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Calano i test sugli animali
ma cresce il grado di sofferenza

Nel 2020 in Svizzera sono stati impiegati a scopo di sperimentazione circa 556.000 animali. Rispetto all’anno precedente ciò corrisponde a una diminuzione del 2,8%, in parte dovuta alla pandemia di Covid, poiché a causa delle restrizioni alcuni esperimenti non sono stati eseguiti. Dal 2015 l’impiego di animali da laboratorio è diminuito del 18 per cento. Tuttavia è in costante aumento il numero di animali sottoposti a "forte aggravio", come si dice in termine tecnico, cioè a forte sofferenza e danno (nel 2020, + 7,8% rispetto al 2019). Lo rivela un rapporto dell’Ufficio federale svizzero della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV) pubblicato lo scorso 25 agosto.
La legislazione sulla protezione degli animali distingue quattro categorie di aggravio, i cosiddetti livelli di gravità (da LG 0 a LG 3). Gli esperimenti nel livello di gravità 0 non provocano sofferenza agli animali: rientrano fra questi, ad esempio, gli studi di osservazione. Al livello di gravità 1, gli animali sono sottoposti a dolori o lesioni di lieve entità e di breve durata. Al livello di gravità 2 si tratta di esperimenti che provocano dolori, sofferenze o lesioni di media entità. Gli esperimenti di livello 3 causano grave sofferenza negli animali.

Per il livello 3 vi è un uso crescente di topi geneticamente modificati. Più o meno il 90 per cento degli animali utilizzati per questo livello è impiegato per la ricerca sulle malattie umane (nello specifico, nel 2019, circa il 28% per quella sulle malattie tumorali e circa il 22% per quella sulle malattie del sistema nervoso).

In Svizzera si possono effettuare esperimenti sugli animali soltanto se non esistono metodi alternativi riconosciuti. Il ricercatore deve poi dimostrare che l’utilità per la società è maggiore rispetto alla sofferenza degli animali. E come nei Paesi dell’Unione europea, il ricercatore è tenuto ad applicare il cosiddetto principio delle 3R: sostituzione degli esperimenti sugli animali con metodi alternativi (Replacement), riduzione del numero di animali (Reduction) e perfezionamento dei metodi di ricerca scientifica (Refinement).
Per provare a capirne di più abbiamo fatto qualche domanda a Karl Klisch, professore di Anatomia veterinaria all’Università di Zurigo.

È assolutamente necessario l’uso di animali per la sperimentazione scientifica?
«Direi che ci sono casi in cui è necessario - risponde Klisch. - Gli animali sono organismi complessi. E la complessità dell’organismo umano è difficile da simulare o riprodurre. Al momento ci sono metodi alternativi in vitro (con cellule isolate) o in silico (con il computer), ma non ancora abbastanza affidabili da permettere di abbandonare sempre e del tutto la sperimentazione sugli animali».

L’arsenico è letale per gli umani ma innocuo per le pecore. La cicuta, che uccise Socrate, non fa nulla alle capre e ai cavalli. I mammiferi sembrano piuttosto diversi tra loro. Quanto è davvero efficace l’uso di topi per capire meccanismi e conseguenze sull’uomo?
«Se si pensa a specifiche sostanze, in effetti, c’è una certa diversità, di cui negli studi occorre tenere conto. Ma in altri casi il paragone tra topo e uomo non è affatto azzardato. Gli organismi modello sono specie animali diverse dall’uomo, più facili e rapide da allevare, che condividono con l’uomo le caratteristiche di interesse per la ricerca in atto. Ogni caso va ponderato. Il maiale domestico ha, per esempio, la pelle quasi simile a quella umana: questo lo rende interessante per studi dermatologici, in cui viene testata la tossicità di certe sostanze».

Le posizioni opposte sulla sperimentazione animale sembrano basarsi su diversi principi etici, in particolare sullo specismo
«Certamente sono diverse le opinioni di chi considera gli esseri umani superiori alle altre specie animali e di chi invece non lo fa. Chi si ciba di carne, e questo è l’uso più comune degli animali da parte degli umani, mette se stesso in una posizione superiore a quella degli altri animali. Con tutto ciò che ne scaturisce. Tra cui il fatto di sacrificarne un certo numero, attraverso la sperimentazione scientifica, per proteggere e migliorare la vita umana».

Il principio delle 3R è ancora valido o andrebbe rivisto?
«Se consideriamo i numeri direi che è ancora valido. Negli ultimi 30 anni il numero degli esperimenti animali è calato da 2 milioni a 600 mila. È tuttavia un numero rilevante, e sono personalmente felice di non avere a che fare con la sperimentazione animale. Credo che se fossi obbligato cambierei mestiere».

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Durante la preparazione di questo articolo abbiamo preso contatto anche con un neurologo che fa direttamente sperimentazione sugli animali. Non ha voluto rispondere alle nostre domande, ma in quell’occasione siamo stati avvicinati da un tecnico di stabulario (lo stabulario, lo ricordiamo, è il luogo in cui vengono tenuti gli animali da laboratorio) che, in forma anonima, ha deciso di raccontarci la propria esperienza.

Anzitutto, perché l’anonimato?
«Lavoro da anni per un gruppo farmaceutico multinazionale qui a Basilea. Ho firmato, col contratto, degli accordi di riservatezza e segretezza. Non voglio guai».

In che modo è coinvolto con la sperimentazione animale?
«Ho quasi sempre lavorato con i pesci zebra. Mi trovavo bene. Buona paga e poco stress. Poi lo scorso anno sono stato selezionato assieme ad altri 8 colleghi per un incarico speciale, e il mio modo di vedere le cose è cambiato».

Che incarico?
«Creare un laboratorio all’estero, dove le leggi sono meno severe. Replicare in Inghilterra – in una sede affiliata – uno stabulario per primati non umani. Costruirlo, popolarlo e renderlo funzionale per la ricerca».

Da dove provengono questi primati?
«Sono macachi a coda lunga che vengono dal Vietnam. Giungono in aereo in Francia e poi proseguono in camion fino in Inghilterra».

Perché è cambiato il suo modo di vedere le cose?
«I macachi non sono pesci... Gli animali erano chiusi in gabbie, quasi sempre spaventati, non socializzavano, non avevano alcun conforto, mordevano di continuo per ore le sbarre. Quando li prendevamo in braccio si attaccavano a noi come alla mamma, era una pena prepararli per i test e sapere che avrebbero sofferto o non sarebbero sopravvissuti. Dopo alcuni mesi con una scusa sono tornato a Basilea al vecchio incarico».

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Per aggirare norme restrittive, gli esperimenti effettuati fuori dal Paese ed esternalizzati non sono una rarità. I risultati vengono poi combinati con quelli ottenuti qui in Svizzera. La ricerca va avanti, in un modo o nell’altro. Ci si imbatte talvolta in abusi, dove la sperimentazione scientifica diventa crudeltà inflitta agli animali, dove in qualche caso i test sono falsificati e manipolati mettendo a rischio la salute umana. Sul fronte opposto non mancano le azioni di estremisti animalisti.
Ci si imbatte anche nel grande business degli animali da laboratorio: la Charles River, ad esempio, permette l’acquisto online da un ampio catalogo di animali sani o portatori di malattie (diabete, Alzheimer, Parkinson, tumori e insufficienza cardiaca, eccetera) o con alterazioni chirurgiche (ne sono disponibili ben 55) comprendente topi, ratti, conigli, criceti, porcellini d’india, femmine in lattazione e nidiate.
La Huntingdon Life Sciences, con metodi che l’hanno portata a essere bersaglio di feroci critiche, pratica anche sperimentazione animale per conto terzi, soprattutto aziende farmaceutiche.  

In ogni caso, tornando alla Svizzera, circa il 30% degli animali da laboratorio è geneticamente modificato, sulla base delle richieste dei ricercatori. Secondo i dati degli uffici federali, dal 2012 al 2020 sempre più animali di questo tipo sono stati utilizzati in sperimentazioni di gravità 2 e 3. Tra il 2012 e il 2020, il loro numero è raddoppiato, passando da circa 30.000 a oltre 60.000.

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Al termine di un convegno intervistiamo Massimo Tettamanti, criminologo forense, chimico ambientale e consulente scientifico dell’ATRA (Associazione svizzera per l’abolizione della vivisezione).

Nei confronti del tema lei sembra portare avanti un approccio giuridico…
«Giuridico e scientifico - risponde Tettamanti. - Nella ricerca di base, quella universitaria ad esempio, non c’è l’obbligo di utilizzare animali: è una libera scelta del ricercatore. Mentre le società farmaceutiche e le industrie chimiche devono rispondere a una serie di leggi a livello internazionale che impongono l’uso di animali. Con queste ultime bisogna agire a livello normativo: far sviluppare e validare dal Parlamento europeo metodi alternativi che una volta accettati dalla comunità scientifica siano normati. Nella ricerca di base invece occorre proporre ai ricercatori i metodi che non fanno uso di animali, anche attraverso borse di studio e finanziamenti, per far sì che pian piano la situazione cambi. Io credo che solo con un approccio scientifico si possa sostituire l’attuale sperimentazione animale. Le associazioni animaliste spesso affrontano l’argomento in una maniera molto emotiva. Tutti gli approcci etici e ideologici, pur legittimi e che condivido, non servono finché non si ottiene un livello tecnologico così elevato da poter consentire un cambiamento».

È un tema etico che passa per scelte economiche?
«Io sono un antispecista. Non ritengo che l’uomo abbia diritto di utilizzare il pianeta come gli pare. Culturalmente, questa è ora una posizione minoritaria. I ricercatori che ho convinto a non far uso di animali non li ho mai convinti con argomentazioni etiche, bensì facendo vedere loro che c’erano finanziamenti e metodi che funzionavano meglio. Anche se non hanno più fatto uso di animali, la loro etica è rimasta uguale. Se i finanziamenti vanno, come ora, a chi sperimenta con animali (in Svizzera i finanziamenti ai metodi alternativi sono meno del 10%) i gruppi di ricerca – che hanno bisogno di soldi – continueranno a usare animali».

La ricerca sugli animali è più efficace?
«Non direi. È un problema storico: il modello animale in laboratorio è un metodo scientifico degli inizi del Novecento, quando tecnicamente la situazione era molto diversa da ora. Gli animali sono differenti, ciascuna specie ha proprie unicità, sviluppano malattie diverse, le condizioni del laboratorio alterano i risultati. Studi americani hanno dimostrato che il metabolismo di un uomo in carcere è diverso da quello di un uomo libero, che senza stress può mangiare quello che vuole all’ora che vuole. L’applicazione delle 3R è un contentino per la parte della società che contesta la sperimentazione animale: di fatto rallenta o impedisce una certa evoluzione. Quattro ricerche su cinque sono caratterizzate da insuccesso: eppure nessuno prenderebbe un aereo sapendo che l’80% dei velivoli precipita».

In Svizzera sono state bocciate molte proposte di abolizione della sperimentazione animale…
«Non si possono fare referendum di abolizione totale o quasi e sperare di vincere. Una situazione così drastica avrebbe solo isolato la Svizzera dal mercato internazionale, e i centri di ricerca si sarebbero spostati altrove. La gente lo sa e difende la propria economia. C’è un problema di comunicazione sbagliata e il referendum in corso per me è destinato a fallire: interlocutori preparati e competenti non vengono invitati al confronto, e referendum che non si basano sulla scienza e sulle normative danneggiano paradossalmente la causa che vorrebbero difendere».

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L’anno scorso nella sola Unione europea 12 milioni di animali sono stati sacrificati in nome della ricerca. Ufficialmente. Ad essi vanno aggiunti quelli senza numero utilizzati per scopi militari, soprattutto scimmie, che vivono e muoiono in segreto, vittime di studi sulle radiazioni, amputazioni, ustioni, virus e deprivazione di sonno.

Forse non tutti saranno d’accordo con la frase di Immanuel Kant, “Possiamo conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui tratta gli animali.” Ma di sicuro lo saranno con quella di Elias Canetti, “La storia parla troppo poco degli animali.”

Data ultimo aggiornamento 24 ottobre 2021
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Dal super-sistema immunitario dei pipistrelli cure per noi?


Tags: sperimentazione animale



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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