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Scoperto gene che innesca sclerosi multipla e lupus

Quasi tutto è già scritto nel nostro corredo genetico. E riuscire a individuare varianti del DNA che possono favorire l’avvio di malattie anche gravi può rappresentare un’arma in più per diagnosticare in tempo questi problemi e trovare le terapie più efficaci. Come riferisce repubblica.it, un risultato in questa direzione è stato raggiunto da un’équipe internazionale, coordinata da Francesco Cucca, professore all’Università di Sassari, che ha esaminato il codice genetico di migliaia di persone di cinque Paesi europei e ha scoperto che una particolare forma del gene Tnfsf13B può aprire le porte alla sclerosi multipla e al lupus eritematoso sistemico.

All’origine del rischio di sviluppare sclerosi multipla (Sm) e lupus eritematoso sistemico, malattie autoimmuni a carico rispettivamente della mielina del sistema nervoso centrale e di pelle, reni e altri organi, vi sarebbe anche una particolare forma di Tnfsf13B, un gene che presiede alla sintesi di una proteina con importanti funzioni immunologiche: la citochina Baff. A rivelarlo, sul New England Journal of Medicine, uno studio di un gruppo internazionale di ricercatori cofinanziato dalla Fondazione italiana sclerosi multipla (Fism) e coordinato da Francesco Cucca, direttore dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale  delle ricerche (Irgb-Cnr)  e professore di genetica medica dell’Università di Sassari.

«Sclerosi multipla e lupus eritematoso sistemico sono malattie multifattoriali, in cui il processo autoimmune è determinato dall’azione congiunta di diversi fattori genetici e ambientali - spiega Cucca. - Più le cause di questo processo sono conosciute, più diventa facile capire i meccanismi biologici alla base e identificare i corretti bersagli terapeutici - aggiunge Cucca - creando anche le premesse per capire a quali individui debbano essere somministrati specifici farmaci». Oggi, anche grazie a questo studio, «emerge un ruolo primario dei linfociti B in questa patologia - precisa il docente. - Queste cellule immuni, tra le altre funzioni, producono anticorpi che normalmente ci difendono da certi tipi di microbi ma che in qualche caso possono diventare auto-anticorpi e partecipare alla risposta infiammatoria che sta alla base di alcune forme di autoimmunità».

La ricerca si è basata sul sequenziamento del genoma in migliaia di individui sani e malati, abbinato a una caratterizzazione dettagliata dei loro profili immunologici. «Le analisi, inizialmente condotte su persone sarde, sono state estese a ampie casistiche provenienti da Italia, Spagna, Portogallo, Regno Unito e Svezia - aggiunge Maristella Steri, primo autore del lavoro e ricercatrice Irgb-Cnr. - Dopo sei anni siamo stati in grado di identificare la correlazione tra gene e il rischio di sviluppare Sm o lupus».

Data ultimo aggiornamento 8 maggio 2017
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: sclerosi multipla



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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