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Malaria, al via un secondo vaccino Potrebbe fare (finalmente) la differenza - L'Assedio Bianco

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Malaria, al via un secondo vaccino
Potrebbe fare (finalmente) la differenza

di Agnese Codignola

Nelle stesse ore in cui l’Accademia del Premio Nobel di Stoccolma annunciava che la scelta, quest’anno, era andata a Katlin Karikò e Drew Weissman (i due ricercatori che per anni hanno condotto studi sulle potenzialità degli RNA messaggeri, fino a giungere a capire come veicolarli all’interno dell’organismo, e i cui risultati sono alla base dei vaccini anti Covid appunto a mRNA), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha annunciato buone notizie su un altro fronte: quello dei vaccini contro la malaria. I suoi comitati Strategic Advisory Group of Experts on Immunization (SAGE) e Malaria Policy Advisory Group (MPAG) hanno infatti approvato un vaccino tradizionale, non a mRNA, consigliato anche per i bambini dai 6 ai 17 mesi al momento della prima dose, che diventa così il secondo disponibile

Il nuovo vaccino, messo a punto dai ricercatori dell’università di Oxford (gli stessi che hanno scoperto uno dei primi vaccini contro il Covid, quello di Astra Zeneca), e chiamato R21/Matrix-M, va infatti ad affiancare il primo approvato e raccomandato dall’OMS esattamente due anni fa, chiamato RTS,S (nome commerciale: Mosquirix), prodotto da GlaxoSmithKline (GSK), e si candida a fare la differenza, per diversi motivi. Innanzitutto, per una questione di dosi.

Del vaccino di GSK, finora, sono state distribuite, in 12 paesi africani, circa 18 milioni di dosi, e l’azienda conta di arrivare a 20 milioni entro il 2025, anno dopo il quale, e fino al 2029, la produzione annuale dell’azienda dovrebbe arrivare a 15 milioni all’anno. Un passo in avanti, certamente, ma non sufficiente, per le necessità attuali, perché la malaria è sempre più resistente alle poche terapie esistenti, e l’anofele, la zanzara che trasmette il plasmodio responsabile della malattia, sta estendendo il suo areale di diffusione, mentre le stagioni in cui sono attivi i diversi tipi di anofele sono sempre più lunghe, a causa del riscaldamente del clima. Pertanto, bisogna fare in fretta, e agire su larga scala, se si vuole essere incisivi.

Per tale motivo la Novavax, azienda che ha collaborato con gli esperti di Oxford per mettere a punto il nuovo vaccino, memore anche delle lentezze viste nella crisi del Covid, ha stipulato da subito un accordo con il più grande centro di produzione di vaccini al mondo, il Serum Institute of India, che avrebbe già prodotto 20 milioni di dosi, confidando nel via libera dell’OMS, dato per imminente. Inoltre, l’Institute avrebbe già preparato 100 milioni di dosi dell’adiuvante Matrix-M, brevettato nel 2020 da Novavax, a base di saponine, composti naturali estratti dall’albero Quillaja saponaria(già molto utilizzate per numerosi vaccini), indispensabili per aumentare l’immunogenicità del prodotto, e della stessa categoria di quello inserito anche in Mosquirix. Tutto è quindi pronto e, a regime, la produzione dovrebbe assicurare 200 milioni di dosi all’anno.

Poi c’è il costo: il nuovo vaccino costa circa la metà del precedente, perché ogni dose ha un prezzo compreso tra i 2 e i 4 dollari, mentre quello di GSK non può costare più di 6,95 dollari, secondo gli accordi internazionali; il prezzo medio di R21, secondo gli esperti, sarà appunto circa la metà di quello di Mosquirix, fatto che può fare un’enorme differenza. 

Per quanto riguarda il meccanismo d’azione, il vaccino è efficace perché prende di mira gli sporozoiti, cioè la prima forma di protozoo. Il plasmodio della malaria, infatti, non è né un virus né un batterio, ma un microrganismo estremamente più grande, e più complesso, con circa 5.500 geni, contro i 13 di Sars-CoV2, per fare un confronto, e durante il suo sviluppo assume varie forme: per questo sviluppare un’immunità completa è così difficile. Di solito entra nel corpo umano attraverso la puntura della zanzara, dalla cute passa al sangue e, da lì, al fegato, dove resta per molto tempo, dando luogo a un’attivissima riproduzione, aumentando di dieci volte ogni 48 ore. Quindi, dal fegato passa nuovamente al sangue dove, a quel punto, si trovano protozoi in diversi stadi di sviluppo, ed è quasi impossibile intervenire per bloccarli tutti. Per questo i ricercatori di Oxford hanno pensato che fermarlo nel primo momento, quello che segue la puntura, quando tra l’altro non dà sintomi, potesse essere l’unica speranza. E hanno avuto ragione.

Dal punto di vista clinico, le persone che si ammalano in età adulta e che sopravvivono sviluppano comunque qualche forma di immunità, e questo è il motivo per cui le prime vittime sono i bambini al primo contagio, che non ne hanno alcuna, e che possono soccombere più facilmente, quando i parassiti arrivano al cervello.

Tutto ciò spiega perché, pur essendo inziata più di cento anni fa, e avendo avuto un momento di grande impulso negli anni ottanta (decennio in cui ne furono sperimentati circa 5.000 diversi, un centinaio dei quali giunti ai test nell’uomo, tutti fallimentari), la ricerca di un vaccino non abbia mai portato a un prodotto realmente efficace.

Dal punto di vista medico-organizzativo, entrambi i vaccini approvati richiedono somministrazioni multiple, che per quello di GSK sono tre, mentre per quello di Novavax sono quattro. Secondo i dati forniti all’OMS, non ancora revisionati, ma usciti comunque sul sito di pre-print della rivista scientifica Lancet, relativi a 4.800 bambini di 5 Paesi africani con diversi livelli di trasmissione della malattia, nelle zone dove la malaria è stagionale il vaccino R21 assicurerebbe una protezione elevata, del 75%, nei 12 mesi durante i quali vengono somministrate le prime tre dosi (la quarta viene fatta dopo un anno e mezzo, come mantenimento). Nelle altre zone, dove la malaria è endemica tutto l’anno, la protezione arriverebbe comunque al 66%: valori considerati ottimi, e sovrapponibili, se non superiori, a quelli ottenuti con il Mosquirix.

Per tutti questi motivi, anche se non ci sono stati studi di confronto diretto, e anche se i dati relativi alla sicurezza, per il nuovo vaccino, sono meno consistenti rispetto agli altri, che possono già contare su milioni di dosi somministrate, l’OMS raccomanda entrambi, senza distinzion. E il suo direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che è stato per molti anni un ricercatore proprio nel campo della malaria, è convinto che la situazione potrebbe finalmente cambiare, nell’arco di 10-15 anni, grazie all’arrivo di un numero adeguato di dosi di prodotti efficaci e sicuri.

Per il momento, la piattaforma internazionale della GAVI (Global Alliance for Vaccines), ha registrato 18 Paesi africani che hanno richiesto l’invio delle dosi, ma la stessa OMS ha invitato tutti in Paesi che ne abbiano necessità a richiedere i vaccini; le prime spedizioni di RTS,S dovrebbero partire a inizio 2024.

Secondo le stime ufficiali, ogni anno la malaria infetta 247 milioni di persone, 25 milioni delle quali sono bambini; nel 2021 ne ha uccise 619.000, l’80% delle quali erano bambini, principalmente nei Paesi sub-sahariani, ma non solo. Si spera che questi numeri possano finalmente cambiare, nei prossimi anni.

Data ultimo aggiornamento 8 ottobre 2023
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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