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Da Oxford al Ghana (via India)
il nuovo vaccino contro la malaria

di Agnese Codignola

La lotta contro la malaria, malattia che ancora oggi miete ogni anno non meno di 600.000 vittime, la stragrande maggioranza delle quali sono bambini, potrebbe essere giunta a un punto di svolta, grazie a un vaccino chiamato R21/Matrix-M, frutto di tre decenni di studi, e pensato per essere prodotto nelle zone dove la malattia è endemica, e venduto a prezzi accessibili.
Per la prima volta nella storia dei vaccini, infatti, un Paese africano, il Ghana ha approvato – per i bambini di età compresa tra 5 e 36 mesi, per ora - un vaccino realizzato dai microbiologi dell’Università di Oxford, in Gran Bretagna (che tutto il mondo ha imparato a conoscere per aver messo a punto anche uno dei vaccini anti-Covid, in collaborazione con AstraZeneca) prima di qualsiasi Paese occidentale o comunque più ricco, e intende procedere speditamente con l’immunizzazione di massa dei neonati. 

Il vaccino sarà sintetizzato dal Serum Institute indiano, uno dei centri di produzione vaccinale più grandi al mondo, in quantità tali da permettere grandi campagne di immunizzazione: 200 milioni di dosi all’anno. E ciò spiega perché, anche se esiste già un vaccino, il Mosquirix dell’azienda GlaxoSmithKline (GSK), pre-approvato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) qualche mese fa (disponibile in Ghana, Kenya e Malawi, e del quale sono necessarie quattro somministrazioni), solo ora si parli di svolta. Del vaccino GSK saranno infatti prodotte solo 15 milioni di dosi all’anno, dopo il 2026; prima di quella data, in base agli accordi con l’OMS, ne arriveranno in tutto 18 milioni, per un costo complessivo di 170 milioni di dollari. Tali quantitativi, anche se rappresentano un passo in avanti, sono del tutto insufficienti rispetto ai 100 milioni stimati dall’OMS come indispensabili per incidere realmente sulla diffusione della malattia, vaccinando non meno di 25 milioni di bambini. Inoltre, il vaccino di GSK costa molto.

Il via libera del Ghana colpisce, però, anche per la fiducia che il Paese ha accordato al vaccino di Oxford. Di esso, infatti, per il momento sono stati pubblicati, in settembre, sulla rivista scientifica Lancet Infectious Diseases, i risultati della sperimentazione di fase 2, che ha coinvolto 400 bambini del Burkina Faso arruolati nel momento del picco dei contagi; tutti sono stati immunizzati con vaccino più un adiuvante a base di saponine, già utilizzato in altri vaccini, che rinforza lo stimolo immunitario. L’efficacia, misurata 12 mesi dopo il completamento del ciclo, è stata dell’80% per i piccoli immunizzati con le dosi più elevate, e del 70% in quelli vaccinati con i dosaggi più bassi: valori superiori a quelli indicati dall’OMS per poter ritenere un vaccino efficace. I risultati della fase 3, al momento in svolgimento in Burkina Faso, Kenya, Mali e Tanzania, oltreché in Thailandia e Gran Bretagna, su 4.800 bambini, non sono stati resi noti al grande pubblico e alla comunità scientifica, ma sono stati comunicati in anteprima al governo del Ghana. In base a essi, e al fatto che i dati sembrano confermare in toto i precedenti, il paese ha deciso di accelerare, approvando il prodotto in anteprima. La pubblicazione di tutti i risultati dovrebbe comunque avvenire entro pochi mesi e, a quel punto, potrebbero partire le campagne sponsorizzate dalle grandi associazioni no profit internazionali come il programma GAVI, e dall’Unicef.

La difficoltà nell’ottenere un vaccino efficace risiede nel fatto che il ciclo vitale dei microgranismi (detti plasmodi) che causano la malattia è estremamente complesso, e prevede il passaggio attraverso le zanzare del genere anophele, oltreché nell’uomo. Anche per questo da anni c’è chi, in alternativa ai vaccini, studia le zanzare, per capire come neutralizzarle, a maggior ragione ora che, con il riscaldamento del clima, il loro areale di diffusione è in aumento, così come la stagione in cui sono vitali. Una delle soluzioni più interessanti è quella riportata in uno studio pubblicato su Nature Medicine, nel quale è stato descritto un parassita delle zanzare che ne neutralizza la capacità di trasportare plasmodi vitali, e quindi di infettare l’uomo con le sue punture. Il microrganismo è il microsporidio MB, una creatura simile a un fungo ma non esattamente tale, ed è stato identificato negli apparati gastrointestinale e genitale del 5% delle anophele della zona del Lago Vittoria, in Kenya. Queste zanzare non presentavano alcuna traccia di plasmodio, e per questo hanno destato l’attenzione dei ricercatori delle università di Glasgow, in Scozia, e di Nairobi, in Kenya. Secondo loro, forse lo stimolo al sistema immunitario indotto dai microsporidi è tale che anche il plasmodio viene annientato, o forse l’infezione provoca un’alterazione biologica tale da rendere l’insetto inospitale per il plasmodio. Quale che sia la spiegazione, resta un fatto: le zanzare infettate non ospitano plasmodi della malaria in nessuna fase del loro ciclo vitale. Per tale motivo si sta ragionando su come diffondere il microsporidio senza correre rischi biologici di alcun tipo, perché per ottenere un abbattimento della trasmissione della malaria – è stato calcolato – dovrebbe essere infettato non meno del 40% delle zanzare. Potrebbe andare bene diffondere le spore, oppure si potrebbero infettare i maschi, che non pungono, e che potrebbero trasmettere l’infezione alle femmine. In ogni caso, si stanno effettuando esperimenti che potrebbero portare a qualcosa di simile a quanto già fatto per un’altra infezione veicolata da zanzare, la dengue: quelle infettate dal batterio wolbachia non trasmettono la malattia, e per questo motivi sono in corso vari esperimenti pilota, in Brasile e in altre parti del mondo.

Infine, un approccio ancora diverso è quello illustrato sulla rivista ACS Omega dai ricercatori di alcune università canadesi e francesi, che hanno identificato, in alcune specie di rododendro artico utilizzato da secoli dagli inuit e dai nativi del Nordamerica, 53 principi attivi, uno dei quali, chiamato ascaridolo, si è mostrato molto efficace contro zanzare sensibili e quelle resistenti alla clorochina, il farmaco di riferimento, sia da solo che quando combinato con un altro composto, il cimene, anch’esso presente negli oli essenziali della pianta. Presto potrebbero quindi arrivare anche nuovi farmaci, realizzati a partire dal rodondendro artico e dalla saggezza dei popoli che vivono attorno al circolo polare artico, che con questa pianta da secoli combattono non la malaria, ma le infezioni respiratorie e diverse altre malattie.

Data ultimo aggiornamento 26 maggio 2023
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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