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I legami fra psiche e sistema immunitario
Ecco quando lo stress ci fa ammalare

È difficile dimostrare scientificamente che la sfera psicologica e l’apparato difensivo dell’organismo si influenzano a vicenda. Ma diversi studi cominciano a confermare quello che l’esperienza insegna

di Paolo Rossi Castelli
Emanuela Di Pasqua

Lo stress cronico, prolungato, doloroso, può farci ammalare? Esistono moltissime prove empiriche che confermano questo collegamento, ma è molto più difficile ottenere delle verifiche scientifiche, riproducibili in laboratorio, quantomeno sugli uomini (mentre gli studi sugli animali sono numerosi). «L’evidenza ci racconta questo - spiega Gianvito Martino, direttore della Divisione di Neuroscienze dell’ospedale San Raffaele di Milano, nella videointervista rilasciata ad Assedio Bianco. - Ma, come dicono gli americani, "correlation is not causation": non è detto, cioè, che due eventi collegati fra loro siano uno la causa dell’altro».
Per quantificare i legami tra la sfera psicologica e la nostra capacità di difenderci dalle malattie esiste una disciplina, la psico-neuro-immunologia, nata negli anni ’70, che si occupa in modo specifico proprio dei rapporti fra il sistema nervoso (e, dunque, tra la sfera psicologica), l’apparato immunitario e quello endocrino (le ghiandole a secrezione interna, come il fegato, le ovaie, la tiroide). Negli ultimi tempi i ricercatori hanno puntato l’attenzione, in particolare, sui rapporti fra le situazioni di stress prolungato e le infiammazioni croniche, arrivando a scoprire che, effettivamente, lo stress può attivare in vari modi una risposta eccessiva, o sbagliata, del sistema immunitario.
Più in dettaglio, gli studiosi della Ohio State University e della University of California (Stati Uniti) hanno dimostrato, negli animali da laboratorio, che situazioni di stress portano all’attivazione di numerosi geni (sequenze attive di DNA), a loro volta legati a un aumento dei globuli bianchi circolanti nel sangue e delle molecole tipiche dell’infiammazione. I risultati di questo studio sono apparsi sulla rivista Pnas. In una seconda fase i ricercatori hanno visto che anche negli uomini lo stress prolungato può alterare l’espressione di molti geni, in parte simili a quelli indentificati negli animali da laboratorio.

DIALOGO MISTERIOSO - «Sappiamo che certamente lo stress è uno degli stimoli, o forse il più importante stimolo, che attiva il sistema immunitario - dice Gianvito Martino. - Ma come fattivamente l’apparato nervoso e quello immunitario si parlino, con quali molecole comunichino le informazioni, non l’abbiamo ancora chiarito. Però è certo che esista un’interazione sostanziale».
Se si provoca stress a topini appena nati, cioè se la loro mamma non può accudirli, non può leccarli, pulirli, accarezzarli, questi animali da grandi diventano meno resistenti allo stress ambientale. Molte ricerche in ambito psicologico dicono che lo stesso succede anche nell’uomo. «Ma sono studi retrospettivi, o basati su tecniche psicologiche - precisa Martino - che non prendono in evidenza realtà biologiche. Nel topo è stato dimostrato chiaramente che la mancanza fisica di accudimento provoca alterazioni in una zona particolare del cervello che si chiama ippocampo, dove noi conserviamo le nostre memorie. Lo stress fa sì che in questa zona non vengano espressi alcuni recettori, in particolare quelli dei glucocorticoidi. E da adulti la carenza di questi recettori farà sì che a uno stimolo di più bassa soglia l’organismo reagirà come se fosse stato stressato in maniera importante». Probabilmente qualcosa di simile avviene anche negli esseri umani.
E’ una sorta di puzzle... Adesso cominciamo ad avere una serie di tasselli  che possiamo identificare in maniera chiara, ma senza riuscire a metterli insieme esattamente, e ad avere un disegno generale.

MECCANISMI RAFFINATI - «Lo studio dell’immunità è complesso - conferma Massimo Andreoni, professore ordinario di Malattie infettive all’Università di Roma Tor Vergata – anche perché, probabilmente, lo stress non incide sulla quantità delle difese immunitarie, bensì sulla qualità, attraverso un meccanismo raffinato e difficilmente definibile. In tutti i casi, le osservazioni di vita medica quotidiana ci dicono che il link fra stress e difese immunitarie esiste, eccome. Ed è un dato di fatto che le infezioni, in condizioni stressanti, si propaghino con maggiore facilità».
Uno dei primi studi che hanno individuato lo stretto rapporto fra l’apparato nervoso e quello immunitario venne condotto tra i superstiti della prima guerra mondiale, ricorda Andreoni, osservando tra coloro che erano stati estratti dalle macerie dopo i bombardamenti una maggior incidenza di morbo di Addison, una malattia che determina il cattivo funzionamento delle ghiandole corticosurrenali. Questa patologia ha una natura auto-immune (è provocata, cioè, dal sistema difensivo dell’organismo, che per una serie di errori aggredisce le cellule sane) e, secondo gli studiosi, nei reduci della prima guerra mondiale potrebbe essere stata innescata, o comunque accentuata, dalle drammatiche condizioni in cui si trovava chi finiva sotto le bombe.

GLI STUDI SULLE PERSONE RIMASTE VEDOVE - Negli anni successivi, come scrive Massimo Biondi, direttore del Dipartimento di Scienze psichiatriche dell’Università La Sapienza di Roma, uno studio pubblicato sull’importante rivista The Lancet, nel 1977, rivelò per la prima volta che le persone in lutto per la morte del coniuge avevano linfociti (cellule fondamentali del sistema immunitario) meno reattivi nei confronti di particolari sostanze chiamate mitogeni, che normalmente attivano queste cellule. Negli anni Settanta venne sviluppata anche una serie di studi, su un gran numero di persone, che dimostravano come il sistema immuno-endocrino fosse sensibile a eventi stressanti (sostenere un esame, subire una perdita affettiva, attendere l’esito di un esame diagnostico, eccetera).

DAL FUOCO DI SANT’ANTONIO ALLE COLITI - Ma torniamo ai giorni nostri. Sono numerose le patologie che sembrano favorite da situazioni di stress prolungato o acuto: in primis, quelle autoimmuni, dalla sclerosi multipla alla malattia di Crohn o alla colite ulcerosa, dove gli episodi di recidiva appaiono più frequenti nei periodi difficili, dal punto di vista psicologico. Anche l’herpes zoster (Fuoco di Sant’Antonio) o quello simplex (la "febbre" sulle labbra) riemergono, spesso, quando il paziente vive situazioni fortemente stressanti. Ma, anche in questi casi, nessuno studioso, pur notando la correlazione, è ancora riuscito a trovare una "traccia" scientificamente misurabile.

TUMORI SOTTO LA LENTE - Resta aperto, da sempre, il nodo dei tumori, che in molte occasioni insorgono (o, almeno, sembra che insorgano, perché - in realtà - i processi di formazione sono quasi sempre lentissimi e richiedono un tempo esteso) proprio in momenti particolarmente difficili, come lutti, rovesci finanziari, divorzi. Gli oncologi negano che esista una correlazione diretta, anche se l’apparenza, a volte, porterebbe a pensarlo. Quello che si può dire è soltanto che un indebolimento del sistema immunitario, per effetto anche di difficoltà psicologiche, non aiuta l’organismo a difendersi al meglio. Uno studio del 2013 ha anche permesso di individuare molecole - prodotte durante le situazioni di stress - che sembrano indurre meccanismi di "auto-freno" del sistema immunitario nei confronti delle cellule tumorali. Ma l’interpretazione di questi risultati non è semplice e occorreranno nuovi studi.
In realtà il nostro organismo è capace di bloccare le cellule cancerose, quasi sempre (se ne formano di continuo, e vengono regolarmente debellate e distrutte). Ben difficilmente uno stress, anche forte, può scardinare questo sistema iper-collaudato...

Data ultimo aggiornamento 21 gennaio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: Gianvito Martino, ospedale San Raffaele, sistema immunitario, stress, tumori



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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