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Ebola, anticorpi “sintetici”
per debellare il virus

di Silvia Soligon

Nuovi passi avanti verso la realizzazione di un vaccino contro l’Ebola: nell’ambito di uno studio eseguito sugli animali da laboratorio e pubblicato dalla rivista scientifica Cell Reports, un gruppo di ricercatori guidato dagli esperti del Wistar Institute di Filadelfia (Stati Uniti) ha dimostrato la possibilità di bloccare l’attacco del virus iniettando nell’organismo frammenti di DNA in grado di indurre la produzione di anticorpi specifici contro il virus stesso (con una tecnica molto sofisticata, definita DMAb, cioè Dna-encoded monoclonal antibodies): in pratica, anticorpi "sintetici", che in natura non sono presenti.

I test effettuati sui topi hanno dimostrato l’elevata efficacia di questo approccio innovativo, che ha permesso di ottenere una protezione completa contro l’infezione e che, se funzionerà anche sugli uomini, potrà mettere a disposizione una terapia salva-vita durante epidemie come quella in corso nella Repubblica democratica del Congo, considerata dalle autorità locali la peggiore nella storia del Paese (i morti, finora, sono più di 170). Proprio nei giorni scorsi un portavoce dell’ONU - come riferisce l’agenzia AP - ha parlato di 36 nuovi casi: fra questi, anche quelli di alcuni neonati e bambini di età inferiore ai 2 anni. 

La malattia - Un tempo conosciuta come “febbre emorragica Ebola”, la malattia scatenata dall’infezione da ebolavirus è associata a febbre, forti mal di testa, dolori muscolari e addominali, debolezza e fatica, vomito e diarrea, e alla comparsa di emorragie apparentemente senza causa. Il virus si diffonde attraverso il contatto diretto con persone ammalate o decedute a causa di questa patologia; inoltre anche le volpi volanti (una famiglia di pipistrelli) e i primati possono trasmetterlo all’essere umano. Attualmente non esistono trattamenti specifici: le cure consistono nella somministrazione di fluidi, elettroliti, ossigeno e farmaci per mantenere la pressione sanguigna nella norma, ridurre vomito e diarrea e trattare febbre e dolori. Trasfusioni di sangue di individui sopravvissuti alla malattia e filtraggio meccanico del sangue dei pazienti sono due possibili approcci sperimentali alla cura della patologia, e gli scienziati stanno lavorando alla messa a punto di molecole che blocchino la replicazione del virus. Anche i vaccini contro l’Ebola sono tutti ancora in fase di sperimentazione. «A causa di proprietà biochimiche intrinseche del virus, potrebbe essere difficile o richiedere molto tempo sviluppare anche anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena).» - ha spiegato David B. Weiner, responsabile dello studio (gli anticorpi monoclonali sono molecole prodotte in laboratorio con l’ingegneria genetica, che si comportano come i normali anticorpi, ma si indirizzano su bersagli stabiliti dai ricercatori). Secondo l’esperto in alcuni casi potrebbe addirittura essere impossibile realizzarli, e di conseguenza si perderebbe la possibilità di utilizzare molecole potenzialmente efficaci.

La piattaforma DMAb - Weiner e collaboratori sono riusciti a superare questi problemi avvalendosi della tecnica DMAb. Il punto di partenza per il loro lavoro sono stati anticorpi provenienti da individui sopravvissuti all’infezione. Il passo successivo è stata l’introduzione di una serie di modifiche nella struttura originaria di questi anticorpi, per utilizzarli come se fossero un farmaco. I ricercatori hanno poi inserito nei muscoli dei topi - con una tecnica molto avanzata - alcune sequenze di DNA modificato, per indurre la produzione di questi anticorpi (ben 23 tipi diversi) da parte del loro organismo, e hanno confrontato poi l’azione delle molecole prodotte in questo modo con quella di anticorpi monoclonali ottenuti tramite metodiche classiche. «Abbiamo dimostrato che negli animali l’espressione dei DMAb consente una protezione prolungata rispetto agli approcci basati sugli anticorpi tradizionali», racconta Ami Patel, primo nome dello studio. 

Speranze per situazioni di crisi - «Un approccio di questo tipo - ha commentato Weiner - potrebbe essere importante durante un’epidemia, quando c’è bisogno di progettare, testare e somministrare terapie salvavita in modo urgente». Gli studi continueranno nei prossimi mesi.

Data ultimo aggiornamento 24 novembre 2018
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: anticorpi monoclonali, ebola, ingegneria genetica, vaccino



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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