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Discredito su un buon vaccino
per errori e poca trasparenza

di Agnese Codignola

Per quanto i numeri siano sempre stati molto chiari, non si è potuto evitare il cortocircuito. Un insieme di decisioni prese in base alle pressioni dell’opinione pubblica, emotività e paure non giustificate, si è andato a sommare a mesi di comportamenti aziendali opachi e in alcuni casi arroganti, che hanno gravemente minato la fiducia nel vaccino AstraZeneca e convinto alcuni Paesi a interrompere la campagna vaccinale, con grave danno per la programmazione e, soprattutto, per la fiducia dei cittadini. I due fattori hanno portato, nell’arco di pochissimi giorni, allo stallo attuale per un vaccino che, salvo imprevisti – e cioè fatti non prevedibili e legati a incidenti – resta molto efficace e altrettanto sicuro, e del tutto paragonabile agli altri due utilizzati al momento in Europa (quello di Moderna e quello di Pfizer/BionTech) e a quello che sta per aggiungersi all’armamentario a disposizione, di Johnson-Johnson-Janssen.
Per capire qualcosa di più del ginepraio nel quale è stata catapultata una popolazione – quella europea – già profondamente provata da un anno di pandemia, è bene separare i diversi aspetti della questione.

I COMPORTAMENTI AZIENDALI
AstraZeneca nei mesi scorsi ha condotto uno studio di fase 3 su circa 17.000 persone, in 3 Paesi (Gran Bretagna, Brasile e Sudafrica), con protocolli in parte diversi, pretendendo poi di mettere tutti i dati insieme: un primo vulnus metodologico, subito fatto notare dai ricercatori più accorti (e uno dei motivi per cui la Food and Drug Administration statunitense non ha accettato quella documentazione). Da quei dati è nata la prima pubblicazione sulla rivista scientifica Lancet, giunta dopo vari annunci ai media (e relative speculazioni in borsa).

In uno dei bracci si è verificato l’errore sul dosaggio, cioè la somministrazione di 1,5 dosi al posto delle 2 previste. Come si legge nei documenti pubblicati su Lancet e forniti dalla stessa azienda, i vettori virali forniti dall’IRBM di Pomezia (Latina), sono arrivati in Gran Bretagna con un dosaggio definito in base a test molecolari. Ma la casa madre ne ha effettuati altri, con un esame ottico, e ha trovato una concentrazione doppia rispetto a quella dichiarata dagli italiani. Anziché procedere a una verifica, si è basata sui suoi dati, e ha somministrato mezza dose a una parte di partecipanti, peraltro senza mai avvisarli. Quando si è accorta del fatto che chi aveva ricevuto 1,5 dosi reagiva meglio di chi ne aveva ricevute 2, e che l’efficacia (cioè la capacità di ridurre il rischio di sviluppare un Covid grave) passava da circa il 60% all’80%, ha spiegato che erano cambiati anche i tempi, perché proprio a causa di quell’errore c’erano stati ritardi: impossibile capire a che cosa era dovuta la differenza di efficacia. 

Da qui, comunque, il suggerimento di aspettare fino a 3 mesi e non, come stabilito nel protocollo delle sperimentazioni, 3-4 settimane, supporttato in febbraio da un nuovo studio pubblicato ancora su Lancet, ma senza revisione.
La Food and Drug Administration, per questi motivi, ha chiesto di condurre ulteriori sperimentazioni negli Stati Uniti, più omogenee dal punto di vista metodologico e su fasce di età più ampie ma, inizialmente, l’azienda si è rifiutata, e per questo non ha ottenuto il via libera. Poi ha condotto uno studio, e al momento l’agenzia sta valutando i dati.

Ancora. AstraZeneca non ha mai prodotto vaccini: e questo spiega, in parte, la situazione, perché deve ricorrere ad aziende appaltatrici per tutti i passaggi, e in ognuno di essi può accadere qualcosa che sfugge al controllo. Peraltro, tra quelle con cui ha stabilito partnership ce n’è una cinese in passato accusata di “malpractice” (contratto scoperto dal New York Times) per aver prodotto vaccini anti-epatite B che avrebbero causato la morte di 17 bambini, e il più grande istituto di produzione di vaccini del mondo, il Serum Institute indiano. 

Nel frattempo, l’azienda ha annunciato l’avvio di uno studio in cui sono somministrati sia il suo vaccino che quello russo, lo Sputnik. Il presupposto teorico c’è, perché si tratta di vaccini identici, basati su un vettore virale che contiene un frammento di DNA della proteina spike del coronavirus, ma probabilmente introdurre in questo momento ulteriori variabili non è stata un’idea vincente.

Infine, le continue riduzioni delle consegne previste, mentre aumenta il numero di Paesi a elevatissimo reddito che hanno percentuali invidiabili di vaccinati e che offrono pacchetti all inclusive con vaccinazione, non hanno contribuito a promuovere un’immagine positiva del vaccino, così come non lo fa il fatto che il suo amministratore delegato Pascal Soriot sverni in Australia, rendendo quasi impossibile parlare con lui, per gli europei. 

L’EMA
L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) in primo luogo ha dovuto fare i conti con quanto contenuto nei dossier di registrazione, che inizialmente avevano dati quasi solo di persone con meno di 55 anni: per questo aveva giustamente fissato il limite di età. Nel frattempo, però, la Gran Bretagna ha iniziato la vaccinazione di massa, e l’azienda ha reso noti i dati relativi a milioni di persone di età più avanzata, tutti molto positivi: per questo ci sono stati successivi adattamenti delle indicazioni. L’EMA ha agito in base ai dati disponibili e a tutela della sicurezza dei cittadini.
Per ora non ha raccolto consensi l’idea di somministrare una sola dose di un vaccino ideato per essere dato in due dosi, perché questo potrebbe comprometterne l’efficacia e favorire la selezione di ceppi resistenti. Ma anche questo tipo di dibattito ha generato confusione.
E tutto ciò, nei mesi, ha gravemente minato la fiducia in questo vaccino.

GLI EFFETTI COLLATERALI 
Analizzando i dati provenienti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, così come i rapporti della Farmacovigilanza dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), salta agli occhi un elemento: i tre vaccini sono tutti caratterizzati da un rischio che è, grosso modo, uguale, e pari a un caso su un milione, di eventi fatali che coinvolgono il sangue, e da un certo numero di trombi e di complicanze cardio-vascolari. Il numero di questi eventi non è superiore a quello che si riscontra normalmente nella popolazione non vaccinata di pari età e, anzi, sembra essere perfino minore. Eppure pochissimi casi (sette in Germania, soprattutto) hanno paralizzato i piani vaccinali di molti Paesi.

Non c’è una spiegazione razionale, come hanno sottolineato tutti gli esperti e le agenzie regolatorie, e come l’esperienza della Gran Bretagna conferma. È un fatto statistico: se si vaccinano milioni di persone, aumenta la probabilità che, tra di esse, ce ne sia qualcuna che aveva una malattia che non sapeva di avere, o una predisposizione genetica a certi eventi, per esempio del sangue. 

Si tratta di una reazione emotiva che si è concentrata su questo vaccino, ma che non stupisce, visto che sono mesi che l’azienda si comporta in modo poco trasparente. Nel frattempo, altre aziende stanno conquistando le nuove fette di mercato, perché quanto accade è anche un gioco politico-economico, visti gli interessi in ballo: uno scenario da tenere sempre presente, per osservare quanto accade con la maggiore lucidità possibile. 

Resta comunque il fatto che il vaccino di AstraZeneca, così come gli altri approvati in Europa, previene quasi del tutto decessi e ospedalizzazioni, e anche chi si ammala da vaccinato sviluppa una forma poco grave di Covid: un dato che, da solo, spiega perché valga comunque la pena di sottoporvisi. 

Nei mesi è apparso evidente come il coronavirus SARS-CoV-2 (responsabile della malattia Covid-19) possa danneggiare pressoché ogni organo e distretto corporeo, anche quando i sintomi sono lievi, e nessuno oggi può dire che cosa accadrà ai malati nel tempo, e quali saranno le conseguenze a lungo termine, per non parlare dei milioni di morti che la malattia ha già causato. 

A meno che non emergano fatti specifici relativi a qualche lotto (e per questo è un bene che ci siano indagini, e ci sarebbero state comunque, anche senza il clamore di questi giorni), i benefici per il singolo e per la società superano di gran lunga i ridottissimi rischi cui si espone chi viene immunizzato. 

Data ultimo aggiornamento 17 marzo 2021
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Perché il 90% dei fondi pubblici è stato indirizzato sui vaccini


Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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