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Dermatite atopica, identificato
il bersaglio per nuova terapia


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La dermatite atopica (spesso chiamata anche eczema) è una malattia infiammatoria cronica, che compare generalmente durante l’infanzia e colpisce milioni di persone, nel mondo, provocando prurito, bruciore, arrossamento in diverse zone del corpo. Spesso è associata anche allo sviluppo di malattie allergiche come l’asma. Sulla sua origine ci sono poche certezze, così come sulle terapie: non ne esistono, per ora, di risolutive. Si sa che nella dermatite atopica sono coinvolte due molecole, prodotte dal sistema immunitario, che hanno un ruolo chiave anche nelle allergie: l’interleuchina 4 e l’interleuchina 13 (in sigla, IL-4 e IL-13), ma non sono ancora state definite in modo completo le interazioni fra loro.
Una speranza di migliorare la situazione arriva adesso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Tel Aviv, in Israele, che hanno pubblicato sulla rivista Science Immunology i risultati del loro lavoro. Indagando sui complessi legami fra IL-4 e IL-13, gli scienziati si sono resi conto, in particolare, che gli animali da laboratorio privi (per motivi genetici) di una specifica forma di interleuchina 13, chiamata IL-13 R-alfa 1, non sviluppavano alcun segno di dermatite atopica. Sulla base di questa considerazione, i ricercatori hanno allora deciso di creare anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena). diretti proprio contro IL-13 R alfa 1, per disattivarla, e li hanno somministrati ad  animali che, invece, producevano questa interleuchina in modo regolare. Ebbene, anche questi animali non hanno più mostrato segni di dermatite atopica.

Visti i buoni risultati, gli scienziati israeliani hanno sviluppato un anticorpo monoclonale diretto anche contro la versione umana di IL-13 R-alfa 1, e si sono dichiarati convinti che questo nuovo farmaco potrà servire come prototipo per un nuovo tipo di trattamento della dermatite atopica e di altre malattie allergiche, come l’asma o l’esofagite eosinofila.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 8 marzo 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: 
Una "firma genetica" collega la dermatite atopica all’asma
Dupilumab, nuovo farmaco per la dermatite atopica grave


Tags: dermatite atopica



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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