INTERVISTA A LUCA GUIDOTTI
Troppa fretta per il vaccino
Così aumenta il rischio tossicità

di Paola Scaccabarozzi
Nel mondo si sta studiando il vaccino per il Covid19, la malattia causata dal virus SARS-CoV-2. Ma questa corsa frenetica verso l’individuazione di un vaccino capace di proteggerci dal virus sarà davvero la strategia vincente? Ne abbiamo parlato con il professor Luca Guidotti, virologo e patologo di fama internazionale, e vicedirettore scientifico dell’Ospedale San Raffaele di Milano.
Si arriverà alla formulazione di un vaccino contro SARS-COV-2?
«Premesso che le piattaforme vaccinali ora allo studio sono molto diverse tra loro - risponde Guidotti - perché esistono tipologie differenti di vaccini possibili (attenuati, inattivati, proteine ricombinate, vettori antivirali), non è detto che sempre e necessariamente si arrivi alla formulazione di un vaccino, come è accaduto, ad esempio, con il virus HIV o il virus dell’epatite C (HCV).
Un vaccino per funzionare deve essere immunogenico, ossia fornire una riposta anticorpale adeguata e in grado di proteggerci dalla malattia, e non deve essere tossico per il nostro organismo. In alcuni casi non è possibile la creazione di un vaccino che risponda a queste caratteristiche, perché le tipologie del virus non lo permettono. Gli agenti patogeni non sono tutti uguali; alcuni sono estremamente mutevoli e resistenti».
Nel caso del virus SARS-CoV-2 quali sono le criticità?
«Un deterrente sono i livelli molto bassi di permanenza del virus nel sangue. Il SARS-CoV-2 è un virus che si propaga nell’individuo soprattutto attraverso le vie respiratorie, e la sua viremia, cioè appunto la sua permanenza a livello ematico, è insignificante. Un buon auspicio per il funzionamento di un vaccino è che invece ci sia una fase viremica.
Ma questa non è l’unica criticità. Non dobbiamo infatti dimenticare che questo è un virus nuovo, che appartiene sì alla nota categoria dei coronavirus (quelli anche del raffreddore), ma di lui, nello specifico, sappiamo ben poco. Quindi non ha molto senso, almeno in questo momento, indicare date probabili o possibili per la messa a punto di un vaccino che magari non esisterà mai. È infatti più probabile che la strada vincente, che viene contemporaneamente battuta, sia la realizzazione di specifici antivirali atti a tenere a bada o persino curare la malattia, così come è accaduto per HIV o HCV».
Quali i timori del mondo scientifico in riferimento alla messa a punto del vaccino?
«La fretta e la velocità con cui si sta procedendo destano, indubbiamente, preoccupazioni. Un vaccino richiede tempi lunghi che passano attraverso determinate fasi, regolate sia a livello nazionale, sia a livello comunitario. Il primo passo è l’allestimento dei preparati vaccinali, diversi a seconda della tipologia. In strutture altamente specializzate vengono eseguiti studi in vitro (cioè in laboratorio, ndr) e in vivo (su animali) per identificare quale componente del microrganismo sarà in grado di stimolare in maniera ottimale il sistema immunitario. In questa fase si valutano anche tolleranza, risposta immunitaria ed efficacia protettiva del vaccino da sviluppare. Terminata la sperimentazione preclinica, si passa a quella clinica, che si suddivide in quattro fasi: le prime tre (che coinvolgono un numero crescente di volontari) si svolgono prima della messa in commercio del vaccino, mentre la quarta è rappresentata dagli studi post-commercializzazione e coinvolge milioni di persone. Prima di passare alla quarta fase, il produttore procede alla preparazione di un dossier da inviare alle autorità competenti (l’Agenzia italiana del farmaco - Aifa in Italia e la European medicines agency - Ema) per richiederne la registrazione e l’autorizzazione alla commercializzazione, che può avvenire solo dopo il nulla osta ufficiale delle autorità. Ma in una situazione urgente e unica come questa, la fase degli studi in vivo in laboratorio è stata saltata.
Che cosa significa concretamente?
«Vuol dire che, in molti casi, è stata totalmente bypassata la sperimentazione sugli animali e si è passati velocemente all’uomo. Non solo sono saltati esperimenti di efficacia (come vedere se un vaccino riesce a prevenire la malattia in animali suscettibili all’infezione), ma anche di tossicologia “regolatoria”: quegli esperimenti, cioè, solitamente imposti dalle autorità che utilizzano ratti, cani e macachi per valutare effetti indesiderati del protocollo vaccinale.
Rispetto, quindi, agli altri vaccini, ampiamente studiati prima di essere testati sull’uomo e messi in commercio, quello contro il Covid19, ammesso che venga realizzato, potrebbe presentare qualche problema in più di efficacia e tossicità».
Data ultimo aggiornamento 5 maggio 2020
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