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Le epidemie sono prevedibili,
basta sapere (e volere) cercare

di Valeria Camia

Aveva cominciato a immaginarlo nel 2007 come un film, da affidare al regista Ridley Scott (lo stesso di “Blade Runner” e “Thelma & Louise”), poi è diventato un romanzo: The end of October in inglese, Pandemia nell’edizione italiana, dal 4 maggio in libreria. Un romanzo profetico, su un virus che infetta il mondo, scritto quando ancora non si parlava di Covid-19, ma l’emergenza era nell’aria, a saperla cogliere. Anzi, a volerla cogliere. Perché Lawrence Wright, giornalista del New Yorker e scrittore americano, Premio Pulitzer nel 2007 per un bellissimo libro sull’attentato alle torri gemelle (The Looming Tower: Al-Qaeda and the Road to 9/11), ha utilizzato informazioni che sarebbero state a disposizione di tutti, se solo qualcuno fosse andato a cercarle. Ma le autorità sanitarie e politiche non l’hanno fatto. E quando il coronavirus ha cominciato a mietere decine, e poi migliaia di vittime, hanno parlato di evento eccezionale, di pandemia imprevedibile. Basta leggere il romanzo di Wright (edito in Italia da Piemme, 18 euro), e basta parlare con lui, per capire che le cose non stanno così.

«Ho contattato funzionari e impiegati di alto livello in agenzie governative, esperti virologi, epidemiologi, immunologi e altri ricercatori scientifici della comunità internazionale, così come medici a me vicini - spiega Wright. - E il messaggio che ho ricevuto è sempre stato chiaro: una pandemia “era nell’aria”, anche se non si sapeva con certezza quando sarebbe scoppiata. Dal 2003 si sono susseguite una serie di infezioni virali a ritmo costante e ravvicinato: SARS, Ebola, MERS, West Nile Virus, Zika, influenza aviaria. Negli stessi anni abbiamo dovuto fare i conti con i danni all’ambiente causati dall’uomo. Eppure, di fronte all’impellenza della questione climatica abbiamo assistito all’impreparazione dei governi nell’affrontare problemi legati alla salute mondiale e all’ambiente. Come se salute, ambiente e politiche governative non fossero strettamente interconnesse. Quando invece lo sono: la politica influenza provvedimenti a favore (o meno) dell’ambiente, che a sua volta ha un impatto sulla nostra salute. Nel mio libro volevo dimostrare questa relazione».

È corretto leggere nel romanzo una critica alla Politica e al modo in cui la pandemia non è stata anticipata e viene ora gestita? 

«Non spetta a me prendere posizioni politiche. Tuttavia, è una menzogna - quella che ci viene ripetuta – che una pandemia simile a quella in corso non si sarebbe potuta prevedere. Informazioni al riguardo erano ad esempio contenute in un documento passato all’amministrazione attuale da quella del precedente presidente, Barack Obama. Si è risposto tagliando finanziamenti ai Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC), organismi di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti. L’unità impegnata in Sicurezza sanitaria globale all’interno del Consiglio di Sicurezza nazionale è stata eliminata. Quindi, sì, gli Stati Uniti hanno gestito e stanno gestendo con profonda impreparazione la pandemia. E come loro, altri Paesi. Mi spingo a dire che quella in corso è una situazione di pandemia alla quale si è giunti per una “guerra” che è stata fatta proprio contro quei “guerrieri” impegnati a contrastare il virus. Viviamo una catastrofe che abbiamo cercato».

Proprio la tragica realtà con la quale sono confrontati questi guerrieri, medici e infermieri, è centrale nel suo romanzo, che non risparmia al lettore dettagli accurati e “validati” riguardanti il virus, pandemie del passato, immagini di corpi sofferenti che si fermano nella mente del lettore, esperimenti e test in laboratorio… 

«Non mi sono mai tolto il cappello da giornalista. Sono affascinato dagli eventi reali. Scrivendo di un argomento legato alla sfera medica, desideravo averne una profonda conoscenza. Trovo più interessante descrivere e capire il reale piuttosto che immaginare come la realtà potrebbe essere. “I fatti” e le persone “reali” sono il fondamento del mio lavoro».

Tornando alle due anime che in lei coesistono, quella del reporter giornalista e quella dello scrittore, delle quali ha parlato poc’anzi, come si conciliano nel romanzo?

«Scrivere di una pandemia mi ha dato l’opportunità di approfondire e parlare di “stigma sociale” e “crisi della civiltà”, che poi era il tema sul quale avevo iniziato a lavorare nel 2007. Ho trascorso molto tempo come corrispondente all’estero e mi sono confrontato in vari modi con la geo-politica internazionale, la gestione del terrorismo, la questione dell’egemonia in Medio Oriente, la problematica della diffusione di armi chimiche, la guerra informatica con la Russia. Nel romanzo la pandemia funziona come fattore di stress aggiuntivo. Mi sono chiesto: cosa succederebbe se nella nostra civiltà comparisse qualcosa come l’influenza del 1918, che nell’ottobre di quell’anno, negli Stati Uniti, causò la morte di 195.000 persone?»

Molte delle situazioni narrate nel suo romanzo sembrano descrivere le problematiche che viviamo oggi nella gestione del virus, tra cui la scarsità delle attrezzature o dei macchinari negli ospedali. Manca però il fattore della solidarietà umana. Come mai?

«Mi colpisce, e non avevo previsto, la solidarietà dei singoli cittadini di isolarsi con enormi costi personali, sociali, spirituali, finanziari. Ammiro il coraggio e l’ingegno delle persone che combattono la malattia e mi auguro che la fine del lockdown in vari Paesi non porti a dimenticare l’importanza del distanziamento sociale e delle norme igieniche, perché il virus è ancora tra noi».

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Nella foto dell’agenzia Getty Images, il giornalista e scrittore Lawrence Wright

Data ultimo aggiornamento 10 maggio 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • «Il virus è mutato dentro di noi potenziando le sue difese»


Tags: coronavirus, Covid-19, recensioni



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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