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Vietare l’uso dei cellulari a scuola non aiuta gli adolescenti a battere ansia e depressione

Anche se in molti paesi si stanno introducendo norme specifiche, vietare l’uso dei cellulari a scuola non ha quasi nessun effetto. Non fa diminuire se non in minima parte il tempo che i ragazzi trascorrono con il telefono in mano, non migliora l’umore o il sonno e neppure le prestazioni e il comportamento a scuola. Probabilmente sarebbe meglio lavorare su altri fronti come l’educazione alla gestione delle emozioni suscitate dai contenuti visti, per aiutare gli adolescenti a non subire danni.

Se non è una stroncatura totale, ci si avvicina molto, lo studio appena pubblicato su Lancet Regional Health – Europe dai ricercatori dell’Università di Birmingham, che hanno voluto verificare la situazione sul campo in Gran Bretagna. Hanno infatti selezionato venti scuole che hanno adottato un atteggiamento restrittivo, con il divieto assoluto di usare il telefono durante tutto l’orario scolastico, e dieci che ne hanno uno leggermente più permissivo, che prevede l’uso dei cellulari nelle pause, nei pasti o in luoghi specifici, e hanno verificato diversi parametri su un totale di oltre 1.200 ragazzi di età compresa tra i 12 e i 15 anni, seguiti per 12 mesi. Alla fine, i risultati sono stati alquanto deludenti. Il tempo di uso dei social media era diminuito, in media, di 30 minuti e quello dell’utilizzo del cellulare in generale di 40 minuti al giorno, nei ragazzi delle scuole più severe rispetto a quelli delle scuole più permissive. Ma evidentemente questo non basta, perché tutti gli altri parametri non sono cambiati. Tra questi: il tono dell’umore, comprese ansia e depressione, la qualità del sonno, il tempo dedicato all’attività sportiva, il comportamento in classe, il rendimento in materie come la matematica. Poiché sono ormai più che documentati i danni che i social media e l’eccesso di connessione arrecano agli adolescenti – concludono gli autori – è evidente che è necessario affrontare la questione in modo assai più articolato e complesso: i divieti non servono.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 24 febbraio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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