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Via libera negli USA alla terapia
che ha salvato Donald Trump

di Agnese Codignola

Ha avuto un formidabile sponsor: l’ex-presidente americano Donald Trump, che ha dichiarato di sentirsi come un supereroe, dopo il trattamento. E forse anche per questo il mix di due anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena). (in sigla REGN-COV2), casirivimab e imdevimab, dell’azienda Regeneron contro il Covid-19 ha ricevuto dalla Food and Drug Administration (FDA) il via libera per un uso speciale, in situazioni di emergenza (la cosiddetta EUA, Emergency Use Authorization), e solo per il mercato statunitense; pochi giorni dopo è arrivata anche l’approvazione per l’omologa agenzia canadese. 

La luce verde è arrivata a breve distanza da un’altra, del tutto simile, ottenuta dalla concorrente Lilly, che ha messo a punto un altro anticorpo monoclonale, il bamlanivimab. Passerà dunque anche da questi prodotti biologici la cura del Covid-19, se le ultime fasi delle sperimentazioni confermeranno i dati acquisiti finora, ancora non conclusivi, ma che hanno comunque portato alla prima approvazione. 

Probabilmente, però, se anche tutto dovesse andare per il meglio, queste terapie resteranno appannaggio di pochi, sia per il costo, molto elevato, sia perché richiedono una delicata somministrazione ospedaliera, sia perché possono essere efficaci soltanto se dati al paziente in una finestra temporale molto specifica. Questi nuovi farmaci, inoltre, possono indurre reazioni allergiche che ne sconsigliano l’utilizzo in una quota non trascurabile di persone.

Per capire di cosa si tratti esattamente, è bene forse ricordare che cosa è e come si arriva a un anticorpo monoclonale. Un monoclonale è un anticorpo isolato inizialmente da un paziente, di cui viene dimostrata l’efficacia contro un certo bersaglio (nel caso del coronavirus SARS-CoV-2, responsabile della malattia Covid-19, la cosiddetta proteina spike, che permette al virus stesso di agganciarsi alle cellule da infettare). Quindi si identifica la sequenza dei suoi geni e si fa in modo che produca quell’anticorpo in colture cellulari, a volte ibride murine-umane (cioè derivate da topi e da uomini), a volte solo umane (nel caso di questi tre anticorpi erano tutte umane). Ciò che si ottiene è una soluzione concentrata di anticorpi tutti uguali e tutti egualmente potenti, da usare come terapia.

I lati deboli dei monoclonali sono però diversi. Innanzitutto, la soluzione finale, che deve contenere quasi sempre 1-2 grammi di ciascun anticorpo, è molto densa, e va somministrata per via endovenosa da personale specializzato: un costo aggiuntivo. Inoltre, proprio per la sua natura chimico-fisica, il prodotto può scatenare reazioni di allergia o intolleranza, e il paziente va quindi monitorato.

Poi c’è il costo: per i prodotti Regeneron la rivista Forbes ha stimato un costo che oscilla tra i 1.500 e i 6.500 dollari a trattamento; per la Lilly dovrebbe essere di circa 1.100 dollari a dose, e anche se si tratta di costi non diversi da quelli di altri monoclonali già in uso (per esempio per alcune malattie autoimmuni), e anche se in teoria basta una sola somministrazione, è comunque un prezzo che rende questo tipo di terapia non accessibile a tutti, soprattutto nell’ipotesi, tutt’altro che astratta, che le agenzie governative decidano di non rimborsarli. 

Questo tipo di decisioni viene presa in base a un’accurata valutazione del rapporto tra i benefici che ragionevolmente ci si possono aspettare, i rischi, e il costo, e quando si pensa che un certo farmaco costi troppo rispetto a quanto può offrire, molto spesso di decide di non rimborsarlo attraverso la sanità pubblica. Proprio nella vicenda Covid è successo, per esempio, con l’antivirale remdesivir, recentemente dichiarato inefficace dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. E così potrebbe avvenire anche per i monoclonali, stando a quanto si sa a oggi.

Nei dossier di entrambi i prodotti sono poi indicate le condizioni, molto stringenti, nelle quali è consigliato e permesso l’uso: questi farmaci sono consentiti per curare persone (adulti o bambini dopo i 12 anni che pesano almeno 40 kg) a rischio, non ospedalizzate, che non hanno bisogno di ossigeno e che hanno avuto la diagnosi non più di dieci giorni prima del trattamento. Si tratta, cioè, di persone con una forma di Covid lieve o moderata, perché il compito dei monoclonali è bloccare il virus, e quando questo si è riprodotto troppo, non ha più senso intervenire e bisogna concentrarsi su altre cure. Ma questo potrebbe rendere non giustificato, appunto, l’impiego di sostanze delicate, costose e che necessitano di prestazioni professionali specialistiche per la somministrazione.

Va anche detto che, per ora, il problema in Europa non si pone perché l’agenzia per il farmaco, l’EMA, non ha ancora autorizzato nessuno dei due, anche se probabile che prima o poi lo faccia, con restrizioni simili.

Per ora le approvazioni della FDA si basano su due studi: quello chiamato BLAZE-1 per il bamlanivimab, di cui sono stati pubblicati, sul New England Journal of Medicine, i risultati della fase 2, ottenuti su 450 pazienti, e i dati resi noti dalla stessa azienda  e ottenuti su quasi 800 pazienti. I dati preliminari erano stati pubblicati in estate sulla rivista Science, seguiti da quelli, sempre su Science, su animali.

Va ricordato però sempre, come ha fatto la rivista Nature  in un articolo piuttosto critico,  che la corsa al monoclonale può comportare distorsioni e rischi. Secondo un’inchiesta esclusiva dell’agenzia Reuters, ispezioni nei siti produttivi Lilly avevano portato a esiti preoccupanti. E questo rischio è sempre in agguato, perché per produrre anticorpi occorrono bioreattori, colture di cellule e materiali biologici difficili da maneggiare, e la fretta può spingere a tralasciare aspetti di sicurezza importanti. Inoltre la sperimentazione del bamlavinimab era stata temporaneamente sospesa dopo un decesso sospetto, poi attribuito ad altro.

Molte aziende stanno cercando l’anticorpo monoclonale vincente di questo tipo, e probabilmente nei prossimi mesi ne arriveranno altri, sul mercato: sono almeno dieci quelli in avanzata fase di sperimentazione. Ma altri ricercatori si stanno concentrando su formulazioni diverse, o su anticorpi ricavati da quelli dei camelidi, più facili da maneggiare e più potenti. 

I recenti annunci, a mezzo televisione e stampa italiana, su un ipotetico anticorpo monoclonale che sarebbe mille volte più attivo degli altri, da usare anche per la prevenzione come vaccino passivo, per ora non hanno avuto alcun riscontro nelle pubblicazioni scientifiche, né negli studi clinici in corso, e neppure presupporti teorici (la potenza degli anticorpi usati come “stampo” per i monoclonali varia, ma mai di un fattore mille tra uno e un altro). E sarebbe opportuno che i ricercatori, soprattutto se provenienti dalle aziende, evitassero questo genere di proclami sensazionalistici e, a quanto si sa oggi, infondati.

Data ultimo aggiornamento 25 novembre 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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