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Vaccini, dietro Pfizer e Moderna
corsa a ostacoli per i “rivali”

Sono i grandi protagonisti delle ultime settimane, quelli cui si rivolgono le speranze di tutto il mondo, che non riesce a domare la pandemia altrimenti. Ma al di là dell’immensa pressione esercitata dai governi e dalle opinioni pubbliche, e oltre le distorsioni alimentate dalle aziende e rimbalzate sui media spesso con scarsissimo spirito critico, a che punto sono i vaccini? La risposta non può che essere articolata, perché anche quelli che sono più vicini all’introduzione in commercio o, come nel caso di quello Pfizer/BionTech, sono appena stati approvati e sono al centro dell’inizio delle campagne vaccinali, devono ancora fornire alcune risposte cruciali, mentre per gli altri la situazione è in costante evoluzione. Vediamo quindi i principali.

Vaccino di Pfizer/BionTech. Si tratta di un vaccino che si basa su una tecnologia nuova, mai utilizzata nell’uomo, che prevede che si somministri un frammento di materiale genetico (RNA) in grado di far produrre alle cellule del nostro organismo (questa è la novità) una proteina del virus SARS-CoV-2 (responsabile della malattia Covid-19), destinata a suscitare la risposta immunitaria. I ricercatori hanno scelto la proteina della parte esterna del virus chiamata spina (o spike, in inglese), perché si è capito molto presto che contro di essa l’organismo reagisce adeguatamente.
Il vaccino è stato approvato dall’agenzia regolatoria britannica il 3 dicembre, nei giorni seguenti da quella canadese, da quella del Barhein e da quella dell’Arabia Saudita e poi dalla Food and Drug Administration statunitense, da Swissmedic e dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA). Queste autorizzazioni sono arrivate in concomitanza con la pubblicazione (https://www.nejm.org/doi/10.1056/NEJMoa2034577 ), sul New England Journal of Medicine, dei dati dell’ultima fase della sperimentazione clinica che precede la richiesta di approvazione, la 3. In essa sono state coinvolte 43.000 persone in diversi Paesi, metà delle quali vaccinate, metà trattate con un’iniezione di placebo. Il vaccino ha ridotto del 95% l’incidenza del Covid tra i primi, rispetto ai secondi. Gli effetti collaterali sono stati di scarso rilievo (soprattutto dolore e leggero gonfiore nel sito di iniezione) e simili rispetto a quelli del gruppo di controllo.
Quello che resta da capire, però, è quanto duri l’immunità indotta: se pochi mesi, qualche anno o tutta la vita, e bisogna anche accertare se la protezione sia solo nei confronti dello sviluppo del Covid, o se il vaccino consenta anche di bloccare la propagazione del virus. Non è chiaro, cioè, se chi si vaccina non sviluppa la malattia ma ospita il virus, e può quindi trasmetterlo, o meno. Non si sa, poi, che cosa accade agli asintomatici, cioè se il vaccino sia in grado di prevenire anche le infezioni in chi non sviluppa sintomi, perché è stata verificata solo l’incidenza in chi li ha. Inoltre non ci sono ancora dati su popolazioni specifiche di pazienti molto importanti, quali le donne in gravidanza, gli obesi (che sono molto a rischio), i bambini o gli immunodepressi, che dovrebbero essere oggetto di studi successivi.
Il vaccino di Pfizer/BionTech va conservato a -70°C e dato in due somministrazioni distanziate di almeno 21 giorni, fatto che complica la gestione delle fiale, soprattutto pensando di vaccinare milioni di persone.

Vaccino Moderna: il principio è lo stesso del precedente: si tratta infatti di un vaccino a RNA. L’efficacia, così come la sicurezza, sembra del tutto simile a quella del vaccino Pfizer, anche se per ora sono stati pubblicati, sempre sul New England Journal of Medicine (https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/nejmoa2022483 ), solo i dati relativi alla fase 1, su poche decine di pazienti. L’azienda ha annunciato di aver ottenuto, nelle fasi successive, un’efficacia superiore al 90%, ma si attende la pubblicazione dei dati relativi alle 30.000 persone coinvolte nella fase 3. Moderna ha anche annunciato l’avvio di una sperimentazione su una popolazione di particolare interesse: quella degli adolescenti. Nei prossimi mesi ne saranno vaccinati (con il vaccino o con il placebo) oltre 3.000, per verificare se la protezione sia efficace anche in questa fascia di età. Gli anziani, invece, sono già stati compresi nella sperimentazione: nei 30.000 c’erano anche 7.000 over65, così come 5.000 con meno di 65 anni ma con patologie croniche, e l’efficacia sembra confermata. Questo vaccino, che prevede due somministrazioni successive, presenta un vantaggio rispetto a quello di Pfizer: può essere conservato in un normale congelatore (quindi a -20°C).

Vaccino AstraZeneca/Oxford/IRBM. In questo caso il meccanismo d’azione è leggermente diverso. Si tratta, infatti, di un virus di raffreddore di primate disattivato affinché non si riproduca, che contiene il materiale genetico della proteina spike. Questo vaccino ha suscitato grandi speranze ma, al momento, ha deluso le aspettative e lasciato non poche perplessità, che riguardano diversi aspetti. Nello studio di fase 3, pubblicato sulla rivista scientifica Lancet (https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)32661-1/fulltext) e condotto su 23.000 persone in Gran Bretagna, Brasile e Sudafrica, sono stati infatti utilizzati due dosaggi diversi in differenti Paesi, sembra per un errore, e il risultato è stato che si sono viste due percentuali di efficacia: il 60% e circa l’80%. L’azienda ritiene che con una somministrazione in due tempi, che preveda prima mezza dose e poi una dose intera, si possa raggiungere un’efficacia del 70%, ma non sono mancate critiche relative al fatto che sarebbe stata calcolata una media tra protocolli diversi, non del tutto assimilabili. Si attendono quindi ulteriori approfondimenti. In più AstraZeneca ha annunciato l’avvio di una sperimentazione con il vaccino proposto dalla Russia, il cosiddetto Sputnik V, già somministrato a non meno di 100.000 persone in Russia, ma del quale, a oggi, non sono disponibili dati, se si esclude quanto affermato dall’Istituto di stato Gamaleya ( https://sputnikvaccine.com/newsroom/pressreleases/second-interim-analysis-of-clinical-trial-data-showed-a-91-4-efficacy-for-the-sputnik-v-vaccine-on-d/ ), che ha attribuito al prodotto un’efficacia superiore al 90%. I due vaccini sono sovrapponibili come meccanismo d’azione, ma più di un esperto si è detto scettico all’idea di effettuare una combinazione prima di aver chiare le caratteristiche di ciascuno dei due.
E non è tutto. L’azienda ha stipulato un accordo per la produzione su larga scala del vaccino per il mercato asiatico con un’azienda cinese, la Shenzhen Kangtai Biological Products , che in passato è stata coinvolta in numerosi scandali, due dei quali, secondo un’inchiesta del New York Times (https://www.nytimes.com/2020/12/07/business/china-vaccine-astrazeneca.html ), particolarmente preoccupanti: uno relativo alla realizzazione di un vaccino contro l’epatite B, che nel 2013 avrebbe causato la morte di 17 neonati, e l’altro per un vaccino antirabbico che sarebbe stato inefficace per difetti di produzione, e che sarebbe stato somministrato a non meno di 180.000 persone, nel 2010, in un momento in cui nel Paese infuriava un’epidemia proprio di rabbia.
Tutte queste incertezze potrebbero allontanare il momento dell’approvazione, che sembrava molto vicino fino a poche settimane fa.

Va anche ricordato che, solitamente, tra tutte le sostanze che iniziano una fase 1 delle sperimentazioni, all’incirca solo il 10% raggiunge il mercato: qualcuno degli oltre 100 vaccini proposti mesi fa, al momento diventati una quarantina nelle diverse fasi e una decina tra la fase 2 e la 3, è necessariamente destinato a non diventare mai un vaccino utile e utilizzato.

Vaccino Sanofi/GlaxoSmithKline: anche in questo caso le speranze sono per il momento quantomeno intiepidite, perché i risultati della sperimentazione di fase 1-2 hanno mostrato un’efficacia inferiore alle aspettative nelle persone con più di 50 anni, forse a causa di una concentrazione di proteina antigenica (quella che dovrebbe far scattare la reazione del sistema immunitario) troppo bassa.
Questo vaccino è infatti più tradizionale e si basa sulla somministrazione della proteina spike già formata, data insieme a una sostanza che potenzia la risposta immunitaria, detta adiuvante. Come annunciato dalle due aziende (https://www.gsk.com/en-gb/media/press-releases/sanofi-and-gsk-announce-a-delay-in-their-adjuvanted-recombinant-protein-based-covid-19-vaccine-programme-to-improve-immune-response-in-the-elderly/ ), occorrerà ancora tempo per riformulare il vaccino e ricominciare con i test sui pazienti, a partire dal prossimo mese di febbraio.
Va sottolineato che il motivo per cui si conducono sperimentazioni prima di introdurre un farmaco o un vaccino è proprio quello di verificarne l’efficacia e la sicurezza. Non stupisce quindi l’alt di Sanofi-GSK. Al contrario, è indice di un modo di procedere corretto. Il quale, tuttavia, ha complicato il quadro, perché si contava anche su questo vaccino per raggiungere presto l’immunità di gregge. E invece, se tutto andrà nel migliore dei modi, non sarà disponibile prima della fine del 2021.

Vaccino Johnson& Johnson (Janssen): basato anch’esso sulla somministrazione del materiale genetico della proteina spike tramite un virus reso inoffensivo, potrebbe essere uno dei primi a ottenere l’approvazione dopo Pfizer e Moderna. I dati della fase 3 dovrebbero essere resi noti all’inizio del 2021, e nel frattempo l’azienda ha annunciato di aver ridotto il numero dei partecipanti da 60 a 40.000, anche a causa degli ottimi risultati ottenuti. Il vaccino sarebbe in una dose sola, con indubbi vantaggi logistici. L’EMA ha intrapreso la procedura di valutazione basata in tempo reale sui dati della sperimentazione, man mano che arrivano (la cosiddetta procedura rolling), il primo dicembre.

Vaccino australiano. Questo vaccino non diventerà mai tale: le sperimentazioni sono state chiuse, a causa dell’insorgenza di una reazione inattesa. Si trattava di un vaccino (messo a punto dall’Università del Queensland) nel quale era stato aggiunto un frammento del virus dell’HIV per conferire stabilità, ma - come riferisce la rivista Science (https://www.sciencemag.org/news/2020/12/development-unique-australian-covid-19-vaccine-halted) - si è visto che esso induce a sua volta una reazione immunitaria, generando confusione nei risultati, e si è deciso di non procedere oltre. 

Vaccini cinesi. La Cina, come la Russia, ha sviluppato i suoi vaccini in modo autonomo, e iniziato a vaccinare la popolazione a rischio prima della conclusione della fase sperimentale. A differenza della Russia, però, ha pubblicato alcuni dati. I prodotti in corsa sono tre: due sviluppati dal China National Biotec Group (CNBG), statale, e uno dalla Sinovac Biotech, azienda privata. Quest’ultima ha annunciato di avere ottenuto dati molto confortanti nella fase 3, e per il momento ha pubblicato quelli della fase 1-2 su Lancet (https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(20)30843-4/fulltext). 

Altri vaccini. Nel frattempo anche Brasile, Turchia e Indonesia hanno iniziato sperimentazioni di fase 3, che riguardano diversi tipi di vaccini. Uno è un prodotto  tradizionale, nel quale il virus SARS-CoV-2 viene disattivato e poi unito a un adiuvante. In questo modo si ha un vantaggio, perché la reazione immunitaria dell’organismo non è contro una sola proteina, la spike (che oltretutto potrebbe mutare), ma contro altre proteine del virus, ed è quindi più forte. L’aspetto più problematico – e il motivo per cui sono meno usati di un tempo – è che bisogna produrre grandi quantità di virus per poi modificarlo. Altri due vaccini, invece, leggermente più indietro, sono costituiti uno da una versione del virus resa inoffensiva (vivo attenuato) e uno da un vettore virale che reca l’RNA della proteina spike. Anche se non ci sono stati via libera ufficiali, il CoronaVac è già in produzione in Brasile, dove dovrebbe essere al centro della campagna vaccinale che avrà inizio in gennaio. 

Data ultimo aggiornamento 22 dicembre 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Via libera negli USA alla terapia che ha salvato Donald Trump


Tags: AstraZeneca, coronavirus, Covid-19, Pfizer, vaccini



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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