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Un vecchio farmaco antiepilettico protegge il nervo ottico

di Agnese Codignola

Un vecchio farmaco antiepilessia, la fenitoina, ancora usato, potrebbe rivelarsi molto utile nella protezione delle fibre del nervo ottico (il nervo che trasmette gli impulsi visivi al cervello) danneggiate dalla neurite ottica acuta, infiammazione che colpisce quasi tutti i malati di sclerosi multipla. Lo suggerisce uno studio presentato all’ultimo meeting dell’American Academy of Neurology, nell’ambito del quale i neurologi del National Hospital for Neurology and Neurosurgery di Londra hanno trattato quasi 90 pazienti - che avevano avuto un attacco di neurite nelle due settimane precedenti - con il farmaco o con un placebo, per tre mesi. All’inizio e sei mesi dopo la fine della cura, i ricercatori hanno verificato i parametri fondamentali per definire l’integrità delle strutture dell’occhio, tra i quali lo spessore della retina e la visione.

La malattia, che si presenta con annebbiamento, perdita temporanea della vista, sdoppiamento e altri disturbi, di solito si risolve, ma il nervo attaccato riporta, ogni volta, danni più o meno gravi, che non vengono più riparati anche se la visione, apparentemente, viene recuperata in pieno.

Il risultato finale dello studio è stato nettamente a favore della fenitoina: i pazienti trattati con questo medicinale hanno subìto circa il 30% di danni in meno alle fibre nervose, rispetto agli altri, e anche il volume della macula (la parte della retina più sensibile alla luce e quindi più importante per la trasmissione degli stimoli), è risultato superiore del 34%. La visione era stata invece recuperata in tutti i partecipanti.

Se i dati saranno confermati, la fenitoina potrebbe entrare a far parte dei farmaci usati nella sclerosi multipla e nelle sindromi correlate, perché è già in clinica da anni, conosciuta e accessibile a buon mercato.

 

Data ultimo aggiornamento 22 aprile 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: fenitoina



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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