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Un nuovo marcatore e una dieta specifica:
la sclerosi multipla si contrasta anche così

Il peggioramento della sclerosi multipla può essere previsto con 1-2 anni di anticipo, e questo può aiutare a combattere meglio l’avanzare della malattia. Quando poi i sintomi si fanno sentire, la dieta può aiutare a contrastare uno di quelli che più compromettono la qualità di vita, l’affaticamento patologico chiamato fatigue.

L’esistenza di un marcatore affidabile è emersa in uno studio nato da una collaborazione tra l’Università di Basilea e quella di San Francisco, che hanno analizzato i dati di due grandi set di persone: uno statunitense composto da 4.000 soggetti seguiti per dieci anni, e uno elvetico di 9.000 persone che, insieme, contenevano anche i dati di circa 1.900 malati di sclerosi multipla. Di questi, 570 hanno mostrato un netto peggioramento negli anni, con perdita di mobilità non collegata alle crisi, ma inesorabilmente progressiva. Come illustrato su JAMA Neurology, tra costoro è emerso che una proteina che indica un danno del sistema nervoso, la catena leggera del neurofilamento o Nfl, era strettamente associata all’andamento della malattia. Infatti, a valori alti corrispondeva un aumento del 91% di probabilità di avere un peggioramento entro un anno, e del 49% entro due a prescindere dalle crisi, rispetto a quanto riscontrato in chi non aveva alti valori di Nfl. Le terapie attuali consentono di frenare significativamente la progressione, e sapere in anticipo chi è a rischio grazie a un semplice esame del sangue potrebbe avere ricadute rilevanti.

Quando poi la malattia è più avanzata, una dieta povera di grassi può essere di grande aiuto, come dimostra un altro studio, questa volta uscito sul Multiple Sclerosis Journal. In esso infatti una quarantina di pazienti sono stati invitati a seguire una dieta normale o una povera di grassi, ma dove era presente anche la carne, per 16 settimane, e alla fine tutti i test hanno mostrato che chi aveva seguito la dieta con meno grassi aveva avuto un netto miglioramento della fatigue rispetto al gruppo di controllo.

Non esistono farmaci contro la fatigue, ma mangiare nel modo giusto, sotto la guida di un medico o di un nutrizionista, può essere uno strumento efficace per contrastarla.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 15 novembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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