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Un neopadre su tre soffre di depressione
post partum, ma nessuno se ne preoccupa

Anche i neopapà possono soffrire di depressione post partum, sebbene in loro non vi siano oscillazioni ormonali. Ma quasi mai chi segue le ultime fasi della gravidanza e quelle del parto e delle prime settimane di vita del bambino si preoccupa di chiedere ai padri come si sentono, e se hanno difficoltà ad adattarsi alla nuova situazione. E questo, oltre a prolungare inutilmente le sofferenze emotive dei padri, può avere ripercussioni anche sulle madri e sui bambini.

Secondo le stime del fenomeno considerate attendibili finora, una percentuale di padri che va dall’8 al 13% soffrirebbe di depressione post partum, ma i ginecologi e psicologi della Health’s Two-Generation Clinic dell’Università dell’Illinois di Chicago, inaugurata nel 2020, hanno notato che molto spesso i padri riferivano preoccupazioni e ansia sulla necessità di conciliare impegni lavorativi e sostegno alle madri, paure per la salute dei figli, senso di inadeguatezza, sentimenti contrastanti nei confronti del nuovo equilibrio familiare, con l’inevitabile passaggio del neonato in cima alle priorità della compagna e così via. Per questo, come illustrato su BMC Pregnancy and Child Birth, hanno sottoposto una trentina di padri dell’età media di 31 anni agli stessi test che sono utilizzati per lo screening delle madri, e hanno scoperto che la situazione è più seria del previsto. Un padre su tre, infatti, risponde pienamente ai criteri diagnostici della depressione post partum, confermata anche dalle misurazioni della pressione sanguigna durante i colloqui, e va dunque curato, se lo desidera. Da notare che, secondo gli autori, è frequente che i neopapà non parlino del proprio disagio, per protezione nei confronti della madre e per non distrarre eventuali attenzioni e cure da lei e dal bambino. E, di conseguenza, spesso non sanno neppure quali potrebbero essere i rischi di una depressione non affrontata adeguatamente. Al contrario – concludono gli autori – è indispensabile controllare anche il benessere psicofisico dei padri, se si vuole fare tutto il possibile affinché il bambino si trovi in un ambiente familiare sereno e, in caso di necessità, offrire anche a loro tutto l’aiuto possibile.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 9 ottobre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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