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Un marcatore per distinguere
i due tipi di morbo di Crohn

di Agnese Codignola

Un marcatore genetico potrebbe aiutare a distinguere tra i due principali tipi di malattia di Crohn, distinzione utile tanto per la diagnosi e l’impostazione della terapia corretta, quanto per la programmazione di studi clinici di nuovi farmaci, che oggi conducono a esiti spesso non soddisfacenti, poco chiari, proprio perché i partecipanti sono pazienti con malattie, in realtà, molto diverse.
La malattia di Crohn, che ha un’origine autoimmunitaria e che colpisce l’intestino causando un’infiammazione cronica, secondo molti specialisti non è un’unica patologia ma una vera e propria costellazione di malattie diverse, raggruppabili in due tipi principali, l’1 e il 2. In particolare, il sottotipo 1 non risponde bene ai farmaci e spesso evolve fino a provocare la formazione di ripiegamenti delle pareti intestinali che devono essere sciolti attraverso un intervento chirurgico, mentre il sottotipo 2 è più facile da tenere sotto controllo e risponde meglio alle terapie oggi disponibili: è dunque evidente quanto sia importante distinguere l’uno dall’altro prima possibile, una volta avuta una diagnosi. 

La sostanza ora candidata al ruolo di marcatore è un frammento di RNA  chiamato microRNA-31, e a dimostrarne l’importanza sono stati i ricercatori delle Università Cornell di New York e del North Carolina (Stati Uniti), che hanno pubblicato i risultati dei loro studi sulla rivista scientifica JCI Insight (l’RNA è, insieme al DNA, una delle molecole fondamentali nella gestione del patrimonio genetico delle cellule). Gli autori hanno utilizzato un cosiddetto organoide, cioè una sorta di intestino artificiale nel quale sono stati messi in coltura i campioni di intestino di 150 malati adulti e bambini, e poi hanno quantificato la presenza di diversi frammenti genetici, fino a identificare nel miRNA-31 quello più significativo. Nello specifico, hanno visto che più bassa è la sua concentrazione, più è aggressiva e di tipo 1 la malattia, tanto negli adulti quanto nei bambini.

Ora sarà necessario approfondire gli studi per capire che ruolo abbia esattamente il gene bersaglio dell’miRNA-31, e perché le sue variazioni siano così importanti per il benessere intestinale. Ma nel frattempo il dosaggio di miRNA-31, se confermato come strumento di diagnosi differenziale, potrebbe aiutare molti malati a ricevere le giuste cure, e i ricercatori a condurre studi clinici più significativi.

Data ultimo aggiornamento 30 ottobre 2018
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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