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Un farmaco che agisce come due:
nuove speranze per il lupus eritematoso

La terapia farmacologica per il lupus eritematoso sistemico o LES, oggi basata su diversi medicinali, molti dei quali iniettabili, nessuno dei quali, da solo, curativo ma, nel migliore dei casi, in grado di controllare la malattia, potrebbe essere a una svolta. I primi dati su una nuova molecola chiamata afimetoran, presentati dai ricercatori dell’azienda Bristol Meyers Squibb (MBS) al meeting dell’American Chemical Society (ACS) svoltosi in agosto, dimostrano infatti che essa riunisce in sé gli effetti di due delle principali terapie in uso, assicurando una remissione dei sintomi e una regressione dei danni d’organo tipicamente associati alla malattia, causati da un’infiammazione cronica diffusa.

Il farmaco è la concretizzazione di un’idea che ha iniziato a farsi strada tra gli immunologi qualche anno fa, rafforzata da informazioni genetiche, e cioè che il LES fosse dovuto a un malfunzionamento di una classe di proteine scoperte nel 1985 (per le quali Christiane Nusslein-Volhard ed Eric Wieschaus vinceranno il premio Nobel per la medicina nel 1995), i Toll-like Receptors o TLR.

I TLR, presenti sulla superficie delle cellule-sentinella del sistema immunitario come i macrofagi e le cellule dendritiche, sono sempre pronti ad attivarsi contro i virus (e infatti si ritiene che siano una forma di immunità molto antica) o, nel caso delle malattie autoimmuni, contro frammenti di RNA dell’organismo che li produce; quando lo fanno, innescano una cascata di eventi che porta alla secrezione di diverse citochine e interferoni, mediatori tipici della risposta infiammatoria. Ne esistono diversi sottotipi (almeno 13), e per il lupus fino dal 2010 si è ipotizzato che i candidati più probabili fossero i numero 7 e 8, e si è lavorato su eventuali bloccanti specifici che fossero, però, possibilmente, somministrabili per via orale. 

Tra i gruppi che hanno investito su questa ipotesi c’era appunto quello di BMS che ha presentato i nuovi dati, raccontando la storia della scoperta. I ricercatori hanno infatti iniziato dal gesto più semplice, per il team di un’azienda farmaceutica: uno screening a tappeto delle migliaia di molecole sperimentate negli anni per i più vari scopi, e poi archiviate in grandi database interni. Hanno così individuato alcune molecole che mostravano potenzialità interessanti, e le hanno modificate in base alla struttura dei TLR 7 e 8, verificandone via via la specificità di azione, fino ad arrivare appunto all’afimetoran, piccola molecola da assumere oralmente che Un . Ma questo farmaco sembra fare anche di più, riunendo in sé le azioni di altri due farmaci in uso per il LES, entrambi da somministrare per via iniettiva: l’anticorpo monoclonale anifrolumab, di AstraZeneca, che blocca il recettore dell’interferone, importante mediatore dell’infiammazione tipica delle malattie autoimmuni e non solo, e il beliniumab, altro monoclonale, questa volta di GlaxoSmithKline, che diminuisce la durata della vita delle cellule progenitrici di anticorpi e linfociti, le cellule B. Come l’anifrolumab, l’afimetoran interferisce con la cascata degli interferoni, e come il belimumab tiene sotto controllo le cellule B iperattive, limitandone i danni anche con la soppressione della secrezione di altri mediatori di tipo citochinico.

Dopo aver verificato sui modelli animali la possibile sicurezza ed efficacia del farmaco, i ricercatori sono passati alla fase 1, e cioè l’hanno sperimentata in un piccolo gruppo di volontari sani, per controllare tutti i parametri relativi alla tossicità e alla sicurezza in generale. Il risultato è stato positivo, e infatti ora è già iniziata la fase 2, che verificherà l’efficacia sui malati, mentre altri test effettuati nei modelli animali hanno fatto emergere un’altra possibile applicazione: quella insieme ai farmaci più utilizzati nelle malattie autoimmuni, i cortisonici (in questo caso il prednisolone). Questi ultimi esercitano infatti un’immunosoppressione generalizzata e, in questo modo, controllano l’iperreattività del sistema immunitario, ma sono aspecifici e hanno numerosi effetti collaterali, soprattutto se assunti per lunghi periodi, come avviene in queste malattie (che quasi sempre richiedono una terapia costante per tutta la vita). I risultati sono stati positivi, e ciò significa che l’afimetoran potrebbe anche contribuire ad abbassare in misura significativa le dosi di cortisonici necessari. Inoltre, se il coinvolgimento dei TLR 7 e 8 fosse altrettanto importante in altre patologie autoimmuni, il nuovo farmaco potrebbe essere utile anche per esse.

Oltre alla Bristol Meyers Squibb, poi, altre aziende stanno esplorando l’inibizione dei TLR 7 e 8: la Merck, per esempio, è già in fase 2 con un suo bloccante specifico, chiamato enpatoran

Tale vivacità del settore fa sperare che si giunga, in tempi relativamente rapidi, a una nuova epoca, per la cura di molte malattie autoimmuni, la più grave delle quali è proprio il lupus, che attacca tutto l’organismo (mentre le altre sono localizzate a specifici tessuti, organi o distretti). Anche se probabilmente non tutte raggiungeranno il traguardo dell’introduzione in clinica, potrebbero comunque dimostrare che la via dei TLR è probabilmente quella da continuare a seguire in modo prioritario.


Data ultimo aggiornamento 13 febbraio 2023
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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