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Un adolescente su quattro "svapa". Ma è
un’abitudine peggiore di quel che si pensi

In Canada, un liceale su quattro “svapa”, cioè utilizza sigarette elettroniche e dispositivi di vario tipo regolarmente, e ciò che assume attraverso questi di essi è preoccupante, sia perché si tratta, in larghissima parte, di molecole pericolose, sia perché molte di esse inducono dipendenza.

La diffusione tra i giovani canadesi i di questa abitudine, probabilmente simile anche in molti altri paesi nella stessa fascia d età, è stata descritta in uno studio appena pubblicato su Children, nel quale i ricercatori del Brescia University College di London, in Canada, hanno indagato le abitudini di oltre 38.000 ragazzi di età compresa tra i 14 e i 18 anni, chiedendo loro se, nel mese precedente, avessero utilizzato una sigaretta elettronica e, se sì, che cosa essa contenesse. Hanno così scoperto, appunto, che il 26% lo aveva fatto, che il 12% ne fumava solo con nicotina, l’11,3% con e senza nicotina e solo il 2,5% fumava soltanto miscele senza nicotina. I più propensi a preferire la nicotina erano i ragazzi più grandi, a conferma del fatto che iniziare induce poi ad andare verso la nicotina, e si vedeva una prevalenza dei maschi sulle femmine a ogni età. 

Secondo gli autori, tutto ciò predispone alla dipendenza da tabacco o comunque da nicotina ed è all’origine di una percezione sbagliata dei rischi associati al fumo classico, cioè ha come effetto finale qualcosa di peggiore rispetto alla modalità classica di fumo delle sigarette, e opposta a quella con la quale questi prodotti sono stati inizialmente proposti al pubblico. Inoltre, non sono noti i legami, per chi “svapa”, con abitudini quali il fumo di derivati della cannabis, ma secondo i ricercatori varrebbe la pena di approfondire.

Bisogna saperne di più – concludono – per fornire informazioni più precise sui danni e sulla facilitazione delle dipendenze, e pensare a campagne educazionali mirate che prevengano l’avvicinamento dei più giovani a questa pessima abitudine.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 20 aprile 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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