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Tumore dell’ovaio, trovato
un marcatore più “preciso”

di Agnese Codignola

Il tumore dell’ovaio resta uno dei più insidiosi, soprattutto perché non dà sintomi chiari, e la diagnosi arriva quindi, molto spesso, quando la malattia è già avanzata, e si può contrastare con più difficoltà. Questo spiega perché da oltre trent’anni le statistiche della sopravvivenza siano sostanzialmente immobili, al contrario di quelle di molti altri tipi di tumore, quasi tutte in miglioramento. 

Ora però uno studio dei ricercatori della RMIT University di Melbourne, in Australia, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, offre una speranza in più: una scoperta che, se confermata, potrebbe modificare la situazione. Gli oncologi australiani hanno infatti scoperto che una molecola prodotta dal sistema immunitario e di norma legata ai meccanismi infiammatori, l’interleuchina 6 (in sigla, IL-6), ha un andamento strettamente collegato a quello della malattia e dunque può essere utilizzata come marcatore (tramite una semplice analisi del sangue): aumenta quando il tumore è presente, e tale relazione è più affidabile rispetto ad altri test utilizzati attualmente.

Per giungere al loro risultato, i ricercatori australiani hanno verificato l’affidabilità di ben 28 marcatori immunitari in 66 pazienti che stavano per essere sottoposte a un intervento per il sospetto di un carcinoma ovarico, e ne hanno isolati 6 che sembravano promettenti. Quindi li hanno “misurati” su altre 69 donne, e hanno dimostrato che il migliore di tutti era appunto IL-6. I valori di questa proteina sono infatti risultati molto più alti nelle donne con tumore, rispetto a quelle senza, raggiungendo valori pari, in media, a 28,3 picogrammi per millilitro (ml) di sangue, contro i 7,3 delle donne con semplici cisti benigne e 1,2 di quelle di controllo, senza cisti né tumori.

I ricercatori hanno poi definito un protocollo, che è stato ulteriormente verificato su un campione di donne a rischio: quelle con IL-6 uguale o superiore a 3,75 picogrammi/ml sono state sottoposte anche a esami quali la risonanza magnetica e il dosaggio del marcatore "tradizionale" CA-125 (che però, in molti casi, non fornisce risultati attendibili). L’aggiunta di IL-6 agli altri tipi di controlli ha confermato la capacità di migliorare sensibilmente la possibilità di individuare con precisione il tumore. Altri studi verranno avviati nei prossimi mesi, per una convalida definitiva.

«Nell’ambito delle nostre ricerche abbiamo esaminato donne con carcinoma ovarico avanzato - ha commentato Magdalena Plebanski, coautrice dello studio - ma speriamo che ulteriori indagini possano verificare la possibilità di aggiungere questo biomarcatore ai test diagnostici di routine già nelle prime fasi della malattia».

Data ultimo aggiornamento 22 febbraio 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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