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Troppi traumi sportivi alla testa possono
accrescere il rischio di sviluppare demenze

Uno studio accende un faro su una delle possibili cause di demenza, già nota ma forse, finora, sottovalutata: i traumi sportivi. Chi subisce colpi al cranio ripetutamente, infatti, molti anni dopo gli eventi ha un rischio maggiore di sviluppare qualche forma di demenza. Questo era già noto, ma probabilmente non nelle sue reali dimensioni. A fornire un quadro più completo, e preoccupante, provvede ora uno studi pubblicato su Lancet dai ricercatori e neurologi di alcuni centri di medicina sportiva e traumatologica svedesi e danesi, nel quale sono stati presi in considerazione tutti i calciatori che hanno partecipato ad almeno una partita di campionato e di cui fossero disponibili i dati medici dal 1924, anno dei primi registri, fino al 2019: un totale di circa 6.000 calciatori professionisti. Tra costoro l’incidenza di Alzheimer e altre demenze – ma non di altre forme di neurodegenerazione come la malattia del motoneurone - è risultata aumentata del 46% rispetto a quella della popolazione generale di pari età, sesso e condizione clinica, in modo più evidente nei centrocampisti che negli attaccanti: un dato che lascia pochi spazi al dubbio, anche perché sono proprio i centrocampisti che si sciontrano più spesso con gli avversari.

Risultati simili sono stati osservati, negli ultimi anni, in tutti gli sport di contatto, al punto che c’è chi chiede di vietarne l’accesso almeno ai più giovani. I traumi ripetuti sono una delle poche cause certe di aumento di rischio di demenze: una causa del tutto evitabile.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 31 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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