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Trapianto di midollo, chemioterapico evita il rigetto

Un breve trattamento con un chemioterapico molto noto, chiamato ciclofosfamide, subito dopo l’intervento di trapianto di midollo per curare alcuni tipi di leucemie, sembra ridurre sensibilmente il rischio di rigetto del midollo del donatore.

Lo hanno scoperto gli ematologi del Kimmel Cancer Center di Baltimora (USA), che hanno trattato una novantina di malati di leucemia con due chemioterapici prima del trapianto, come previsto dai protocolli, per abbassare il rischio di rigetto, e poi, per due soli giorni, con ciclofosfamide.

L’obbiettivo era quello di valutare l’effetto sulla cosiddetta Graft-Versus-Host-Disease (GVHD), cioè verso il rigetto che il midollo del donatore ha verso l’organismo ricevente, che normalmente si verifica, in forma cronica, in un malato su due, e può portare, nel tempo, al fallimento.

Come riferito sul Journal of Clinical Oncology, dopo il trattamento con ciclofosfamide i numeri sono stati molto diversi: la GVHD cronica si è verificata nel 14% dei trapiantati, mentre il 51% ha avuto una forma acuta ma non grave, e un altro 15% una forma sempre acuta ma più preoccupante.

Normalmente le terapie utilizzate per evitare la GVHD durano non meno di sei mesi. Pertanto, se i dati fossero confermati, il trapianto di midollo potrebbe diventare più sicuro e avere maggiori probabilità di successo.


Data ultimo aggiornamento 11 novembre 2014
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: GVHD, trapianto di midollo



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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