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La polvere lunare non sarebbe pericolosa, per gli astronauti che dovessero inalarla

Buone notizie, forse, per i prossimi astronauti che prenderanno parte alla missione Artemis, finalizzata a stabilire una base lunare, e in generale per tutti coloro che dovessero recarsi sul nostro satellite. La polvere presente da quelle parti è molto meno pericolosa di quel che si pensava. Così, almeno, hanno concluso i ricercatori dell’Università di Sidney, che hanno pubblicato su Life Sciences in Space Research i risultati dei loro test.

In particolare, gli autori hanno studiato gli effetti di tre concentrazioni crescenti (100 µg/ml, 1000 µg/ml e 5000 µg/ml) di due miscele estremamente simili a quelle presenti sulla Luna, chiamate simulanti LMS-1 e LHS-1, su due tipi di colture cellulari umane (bronchiali e polmonari), per 48 e 72 ore. Quindi hanno ripetuto i test con una versione delle miscele che conteneva solo le polveri sottili più piccole, le cosiddette PM2,5 (in quel caso a dosi ridotte di 10, 50 o 100 µg/ml), e hanno poi misurato l’infiammazione attraverso il dosaggio delle citochine interleuchina 6 e 8. Il risultato è stato tranquillizzante, perché le polveri inducono un’irritazione, ma non danneggiano seriamente le cellule. Inoltre non causano l’attivazione dei geni dello stress ossidativo, e non sono in grado di provocare le condizioni che, negli esseri umani, portano a malattie quali la silicosi, che nasce proprio dall’accumulo di polveri nei tessuti polmonari. Anzi, i danni associati all’esposizione alle PM2,5 provenienti dal traffico o comunque dall’inquinamento terrestre fanno danni assai peggiori.

Gli studi ingegneristici comunque proseguono per ridurre al massimo il contatto con la polvere lunare, che si determina soprattutto nelle missioni extraveicolari, e che può penetrare nelle strutture ogni volta che si aprono i portelloni, entrando così nel circuito di ventilazione. Inoltre, continuano gli studi anche su cellule esposte a condizioni di microgravità, per verificare se, in quel caso, gli effetti delle PM2,5 siamo diversi.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 8 luglio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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