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Terapia innovativa contro la malattia
del sonno (con un’unica somministrazione)

Una nuova terapia contro la tripanosomiasi umana africana, meglio nota come malattia del sonno - un’infezione trasmessa dalle mosche tse-tse che trasportano un piccolo parassita (un protozoo), il tripanosoma appunto - potrà forse essere curata, finalmente, in modo efficace (la malattia, lo ricordiamo, colpisce milioni di persone in decine di Paesi africani e provoca circa 66.000 morti all’anno). Un nuovo farmaco chiamato acoziborolo, messo a punto grazie al programma Drugs for Neglected Diseases initiative (che riunisce alcune delle associazioni benefiche più importanti del mondo), sembra infatti in grado di eliminare qualunque traccia del parassita dall’organismo con una sola assunzione orale: un autentico punto di svolta. La sperimentazione è stata eseguita sotto l’egida della European Medicines Agency (EMA),

Nello studio, pubblicato ora sulla rivista scientifica Lancet Infectious Diseases, sono stati arruolati, in dieci centri della Repubblica Democratica del Congo, 208 pazienti, 167 dei quali con una malattia in fase già avanzata, e gli altri, invece, in una fase iniziale. A tutti è stata data una pillola da 960 milligrammi del farmaco. Dopo 18 mesi, il 95% di coloro che avevano inizialmente una forma grave, e il 100% degli altri non aveva più alcuna traccia del parassita nei liquidi corporei, e stava bene: per questo si pensa che questo medicinale potrebbe rappresentare una rivoluzione. 

Fino al 2019, la terapia disponibile era solo per via iniettiva, e doveva essere assunta per almeno sette giorni durante un ricovero in ospedale, perché erano necessarie anche punture lombari: un protocollo spesso inapplicabile alle popolazioni più colpite, che quasi sempre vivono in villaggi lontani dai centri ospedalieri, e non si possono permettere né viaggi né, tantomeno, permanenze nelle città. Tre anni fa è stato introdotto il primo farmaco orale, il fexinidazolo, ma anch’esso doveva essere assunto per 10 giorni consecutivi in ospedale. Per questo l’acoziborolo, che oltretutto non sembra avere effetti collaterali significativi, sta suscitando tanto entusiasmo: i numeri non sembrano lasciare alcun dubbio sull’efficacia, che è pari e talvolta superiore a quelle delle cure precedenti, e la terapia è finalmente accessibile e gestibile. Lo studio è stato condotto senza un gruppo di controllo, per le difficoltà logistiche e per i rischi associati alle numerose guerre in corso in un’ampia zona dell’Africa sub-Sahariana, ma ora è già in corso una sperimentazione controllata su persone per le quali si sospetta la malattia, una parte delle quali sarà trattata con un placebo. Si attendono dunque conferme, ma i risultati sembrano attuali già dare ragione a chi crede in questo farmaco, che potrebbe permettere di raggiungere l’obbiettivo indicato dall’OMS, ossia l’eliminazione della malattia entro il 2030.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 21 novembre 2022
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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