PALEOPROTEOMICA
Studiando gli anticorpi rimasti nei denti
si possono capire le pandemie del passato

C’è un modo del tutto particolare per studiare la storia delle infezioni che hanno colpito l’umanità nei secoli scorsi: lo studio dei denti e degli anticorpi che essi custodiscono gelosamente per centinaia di anni. Il metodo, utilizzato dai ricercatori dell’Università di Nottingham, si basa sull’analisi proteomica (cioè dell’insieme delle proteine) delle parti più interne dei tessuti e nei denti, grazie alla quale è già stato possibile, negli anni scorsi, identificare alcune proteine presenti nello smalto di un rinoceronte esistito 1,7 milioni di anni fa, in un guscio di un’ostrica ostrica esista ben 6,5 milioni di anni fa, in un Tyrannosaurus rex, e in un mammut che ha solcato la terra 40.000 anni fa, scoprendo molte caratteristiche non note fino ad allora.
Ora però i ricercatori hanno applicato il metodo ai denti di alcune mummie vecchie di circa 800 anni, trovate in un sito chiamato Chester Greyfriars, a Linenhall, in Gran Bretagna, e appartenute a persone vissute tra il 1285 e il 1470, per cercare un altro tipo di struttura biologica: gli anticorpi, che sempre di recente hanno portato a identificare, in altri studi, contatti degli esseri umani con la peste e con la sifilide.
Le prime indagini hanno fatto emergere la presenza di alcune patologie come l’artrite reumatoide, l’osteoporosi e il morbo di Paget (una malattia che compromette lo sviluppo delle ossa), ma ciò che è stato davvero innovativo è stato la scoperta di anticorpi ancora perfettamente integri e funzionanti legati all’idrossiapatite dei denti (la parte più dura e resistente). Come hanno poi illustrato gli autori su iScience, una volta messi a contatto con il virus erpetico della mononucleosi, chiamato di Epstein Barr, gli anticorpi hanno mostrato di essere ancora altamente specifici e reattivi: una caratteristica sorprendente, anche perché la struttura degli anticorpi è composta da due parti tenute insieme da un legame chimico non fortissimo, e non era affatto scontato che fosse riuscita a restare integra per centinaia di anni. Tutto ciò potrà permettere, in futuro, di capire molto di più delle infezioni presenti nel momento della morte delle persone di cui si trovano i resti quali, per il periodo delle mummie di Chester Greyfriars, la peste nera, che proprio in quei secoli flagellò l’Europa a più ondate successive, decimandone la popolazione.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 agosto 2023
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