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Effetti reali o solo immaginati: le novità
su microdosaggio di psilocibina e ketamina

di Agnese Codignola*

Il microdosaggio di sostanze psichedeliche, cioè l’assunzione quotidiana di quantità di principi attivi – di solito psilocibina, estratta dai funghi – che sono pari a circa un decimo rispetto a quelle considerate terapeutiche, è una pratica diffusa, ancorché illegale. Da tempo ci si interroga sui rischi associati, per esempio che si instauri una tolleranza o una vera dipendenza, così come sui possibili effetti terapeutici per esempio sul tono dell’umore, che molti degli utilizzatori riferiscono. Questi ultimi ora sono stati al centro di uno studio condotto su modelli animali, e pubblicato su Nature – Molecular Psychiatry dagli psichiatri della Research Unit for Clinical Physiology and Nuclear Medicine dell’Università della Danimarca del sud. I ricercatori hanno visto che gli animali (ratti), sottoposti a uno schema simile a quello adottato da chi segue il microdosing, non mostrano segni di tolleranza o effetti negativi, mentre acquisiscono una maggiore resistenza allo stress, e un’attenuazione della tendenza a comportamenti compulsivi. Il loro cervello, poi, forma nuove connessioni, come atteso in seguito all’assunzione di queste sostanze. Diversi paesi ne stanno autorizzando qualche forma di utilizzo terapeutico, tra i quali Olanda, Australia, Canada e Stati Uniti, ma per il microdosaggio si attendono dati chiari su volontari umani.

Di segno molto diverso è invece un altro studio, condotto dagli psichiatri dell’Università della California di Stanford, e pubblicatio nelle stesse settimane su un’altra rivista del gruppo Nature, Nature Mental Health, questa volta sulla ketamina, molecola legale dal 1962 come anestetico d’emergenza e in veterinaria, ma in via di approvazione in alcuni paesi come gli Stati Uniti per la depressione che resiste ai farmaci e che comporta il rischio di suicidio.

In esso 40 persone con una diagnosi di depressione grave, che dovevano essere sottoposte a un intervento chirurgico di routine in anestesia generale sono state suddivise in due gruppi: metà di loro ha ricevuto ketamina, metà una sostanza neutra di controllo, senza che nessuno sapesse che cosa stava assumendo. Dopo l’operazione, tutti hanno mostrato grandi miglioramenti del tono dell’umore in base a specifici test. Inoltre, una molti di loro pensavano di aver ricevuto la ketamina, anche quando avevano assunto il placebo. La conclusione è stata che, con ogni probabilità, una parte rilevante del beneficio è dovuta a un effetto placebo. Quest’ultimo, scrivono gli autori, non va sottovalutato, perché ha specifici riscontri fisiologici, e se la ketamina ne induce uno particolarmente potente, è da considerarsi comunque dotata di un’azione positiva. Tuttavia, è necessario studiare meglio questa sostanza, per sapere esattamente che cosa può fare come farmaco, e che cosa induce per convinzioni culturali e psicologiche, per valutare se e a quali condizioni può e deve essere consigliata come terapia.

Data ultimo aggiornamento 4 dicembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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