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Bere tè caldo va sempre bene. Tranne quando la tazza è rimasta sotto il sole

Bere tè va sempre bene, perché il tè contiene numerosi composti benefici i cui effetti sono noti. Ma non bisognerebbe farlo quando la tazza è rimasta sotto il sole, perché le radiazioni ultraviolette, a contatto con la bevanda, hanno un effetto imprevisto, e non positivo: generano radicali liberi pericolosi. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Accademia delle scienze cinese di Pechino, che in uno studio pubblicato su PNAS Nexus hanno illustrato i risultati dei test effettuati in laboratorio, in condizioni che riproducevanio l’irraggiamento solare.

Cò che hanno visto è infatti che il principio attivo principale del tè, l’epigallocatechina gallato o EGCG reagisce producendo, oltre ai già noti radicali liberi di idrogeno o •Hradicali liberi idrossili o •OH, altamente reattivi e capaci di danneggiare il DNA. E la reazione avviene anche quando sono assenti tracce di metalli che, in teoria, potrebbero agire da catalizzatori, accelerando e amplificando i passaggi chimici. Inoltre, come già noto, i ricercatori cinesi hanno confermato che questi radicali, specie chimicamente molto instabili e quindi molto reattive, inducono danni specifici, se messi a contatto con cellule umane in coltura: in particolare, al DNA

Lo studio è uno dei primi a mostrare un simile effetto e, di conseguenza, gli autori sottolineano come sia necessario condurre ulteriori ricerche, per valutare esattamente il fenomeno, e definire tutte le variabili (per esempio, l’intensità dell’irraggiamento, i tempi di esposizione, il tipo di tè e la sua concentrazione e così via) e i suoi possibili effetti.

Nel frattempo, è meglio non bere tè rimasto sotto il sole.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 29 aprile 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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