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I due principali antivirali specifici per il Covid abbassano mortalità e rischio di ricovero

Nei giorni in cui la variante cosiddetta Eris dilaga in Europa, uno studio sui due antivirali più utilizzati contro il Covid 19 autorizza a sperare: il nirmatrelvir (venduto come Paxlovid) e il molnupiravir (Lagevrio) riescono effettivamente a ridurre mortalità e ricoveri, e possono quindi essere utili, specie nelle situazioni a maggior rischio.

Lo suggerisce uno studio pubblicato su JAMA Network Open dagli infettivologi della Cleveland Clinic (Ohio, USA), che hanno verificato i dati di 68.000 persone con più di 65 anni che hanno contratto la variante chiamata omicron (nelle sue diverse eveoluzioni) tra aprile 2022 e febbraio 2023, e che sono state trattate con uno dei due farmaci, oppure senza antivirali. In totale ci sono stati in 30 decessi con nirmatrelvir, in 27 con molnupiravir e 588 tra tutti gli altri casi, e analizzando i dati di mortalità si è visto che sia la mortalità che il rischio di necessità di un ricovero, nei 90 giorni successivi alla diagnosi con tampone, sono significativamente peggiori in chi non assume uno dei due antivirali, a parità di condizioni.

In particolare, il rischio di morte è inferiore dell’84% dopo il trattamento con nirmatrelvir e del 77% con molnupiravir, e quello di ricovero è del 37% e del 41% rispettivamente, sempre in riferimento a ciò che accade senza terapia. E questo si vede a prescindere dalla vaccinazione, da caratteristiche demografiche, da precedenti infezioni, da altre malattie presenti e così via, e sembra quindi un risultato consolidato.

Chiara, pertanto, la conclusione degli autori: i due antivirali hanno qualche effetto, almeno neglio over 65, e possono essere quindi consigliati a tutti quei pazienti che, per età o per altri motivi, sono a rischio di sviluppare un Covid grave, che potrebbe rischiedere un ricovero, e la loro efficacia, probabilmente, rimane tale anche con le nuove varianti.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 25 settembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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