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La curcuma è attiva quanto i farmaci più diffusi contro l’eccessiva acidità di stomaco

Per combattere l’acidità di stomaco, la curcuma, principio attivo della pianta Curcuma Longa, in uso da millenni nella cucina e nella medicina tradizionale di buona parte dell’Asia, è efficace quanto i farmaci più utilizzati per lo stesso scopo, gli inibitori della pompa protonica o PPI.

L’equivalenza è emersa in uno studio randomizzato, pubblicato sul British Medical Journal e condotto dai gastroenterologi dell’Università Chulalongkorn di Bangkok, in Thailandia. In esso circa 200 persone di età compresa tra i 18 e i 70 anni, tutte con un eccesso di acidità gastrica, sono stati trattati con diverse sostanze, cioè con uno tra tre possibili trattamenti, per 28 giorni. Questi erano: due capsule da 250 milligrammi di curcuma 4 volte al giorno insieme a una capsula al giorno di placebo; 20 milligrammi del PPI più usato, l’omeprazolo, insieme a 2 capsule piene di placebo quattro volte al giorno; curcuma più omeprazolo, nelle dosi uguali a quelle precedenti. Le valutazioni sul dolore e su altri sintomi tipici dell’iperacidità gastrica effettuate dopo i primi 28 giorni, e ripetute dopo 56 giorni, hanno confermato che l’efficacia della curcuma è del tutto sovrapponibile a quella dell’omeprazolo e che la combinazione dei due non apporta ulteriori benefici, se non di modesta entità. Inoltre l’effetto si mantiene nel tempo. Per quanto riguarda i possibili effetti collaterali, non ne sono emersi di preoccupanti, a parte una lieve sofferenza epatica in coloro che erano in sovrappeso.

I PPI sono molto efficaci, ma il loro utilizzo è consigliato per brevi periodi, perché un’assunzione prolungata può provocare demineralizzazione delle ossa, perdita di micronutrienti e aumento del rischio di demenza. Cionostante, moltissime persone li assumono per anni. La curcuma può quindi rappresentare una valida alternativa, molto sicura, e ugualmente efficace.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 15 settembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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