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Il brain fog tipico del Long Covid potrebbe dipendere anche da deficit di coagulazione

di Agnese Codignola*

L’annebbiamento mentale o brain fog che caratterizza, insieme ad altri sintomi, chi è colpito dal Long Covid, cioè dalle sequele a distanza dell’infezione da Sars-CoV 2, e che colpisce circa il 16% dei pazienti, potrebbe essere provocato da anomalie nella coagulazione del sangue a livello sia centrale che polmonare. Lo suggeriscono i risultati di uno studio condotto in Gran Bretagna, nell’ambito del consorzio di centri che stanno cercando di decrittare appunto il Long Covid chiamato The Post-hospitalisation COVID-19 study  o PHOSP-COVID, cui aderiscono, tra gli altri, le Università di Oxford e Leicester.

Come riportato su Nature Medicine, in questo caso i ricercatori hanno analizzato nel dettaglio il sangue di oltre 1.800 adulti colpiti da brain fog, verificando l’andamento di alcuni parametri nel tempo.

Hanno così dimostrato che due proteine molto note, il fibrinogeno e il D dimero, risultano più alti del normale, e restano tali per 6-12 mesi. Secondo gli autori, il fibrinogeno potrebbe esprimere disturbi della coagulazione a livello centrale, mentre il D dimero di solito è associato ad anomalie nella circolazione del sangue a livello dei polmoni, fatto che potrebbe spiegare perché si manifestano l’affaticamento estremo e il fiato corto, oltre alla difficoltà di concentrazione (arriva meno ossigeno al cervello).

Tra le numerose ipotesi sull’origine delle decine di sintomi associati al Long Covid, ce ne sono diverse che chiamano in causa una reazione autoimmune, che potrebbe essere rivolta contro i vasi soprattutto periferici. Se così fosse, si spiegherebbero i danni sui vasi del cervello e dei polmoni, che si andrebbero ad aggiungere a quelli diretti del virus dui tessuti vascolari. In ogni caso, se lo studio trovasse conferme (e sarà necessario approfondire, prima di esprimersi), il fibrinogeno e il D dimero potrebbero diventare marcatori della presenza di Long Covid con brain fog: un traguardo atteso da tempo, visto che non esistono test specifici semplici come questi (che si realizzano con un prelievo di sangue) e che questa assenza comporta, non di rado, un grave ritardo nelle diagnosi, e un peggioramento della qualità di vita.

Data ultimo aggiornamento 16 ottobre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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