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Sindrome nefrosica idiomatica: la speranza si chiama rituximab

L’anticorpo monoclonale, già usato nel trattamento di alcuni tumori, si è dimostrato efficace anche a bassi dosaggi.

di Agnese Codignola

Buone notizie per chi soffre di sindrome nefrosica idiopatica: uno studio coordinato da Giuseppe Remuzzi, degli Ospedali Riuniti di Bergamo, ha analizzato l’efficacia di rituximab nel trattamento della patologia.

Rituximab è un anticorpo monoclonale già impiegato contro alcune forme di cancro e per l’artrite reumatoide, e alcuni studi pubblicati in precedenza suggerivano un suo possibile impiego anche in pazienti affetti da sindrome nefrosica idiopatica, ipotizzando però dosaggi elevati, non inferiori alle quattro somministrazioni annuali.

LO STUDIO - Remuzzi e il suo team hanno invece dimostrato che una dose annuale è sufficiente. Come riferito sul Journal of the American Society of Nephrology, lo studio è stato condotto su 10 bambini e 20 adulti con una malattia che aveva dato almeno due o più recidive nell’anno precedente.

Tutti hanno ricevuto una o due dosi di rituximab per via endovenosa e dopo un anno tutti i pazienti erano in remissione; 18 non avevano avuto bisogno di ulteriori trattamenti e 15 erano privi di segni di malattia.

Inoltre, le recidive totali erano passate da 88 (nell’anno che ha preceduto il trattamento) a 22, con una media per paziente passata da 2,5 a 0,5; allo stesso modo, la dose di cortisonici necessaria è passata da 0,27 a 0 mg/kg di peso, e quella necessaria per avere una remissione completa da 19,5 a 0 mg/kg.

LA PATOLOGIA - Ogni anno una percentuale che oscilla, in media, tra 1,5 e 2 persone ogni 100mila si ammala di sindrome nefrosica idiopatica, un problema di origine autoimmune provocato da un’alterazione dei glomeruli renali, che porta a un’abbondante perdita di proteine, attraverso l’urina (in particolare, di proteine nel sangue).

Nei bambini, come negli adulti, la terapia prevede un’alternanza di farmaci immunosoppressori e cortisonici, soprattutto per cercare di evitare le recidive e la progressione. Ma gli effetti collaterali di questi medicinali, quando vengono assunti in modo massiccio e prolungato, possono essere molto pesanti, soprattutto sui pazienti in età pediatrica, fino a provocare, nei casi più gravi, danni cardiaci, infezioni, o addirittura un aumentato rischio di sviluppare tumori.

I risultati del team di Bergamo confermano che sono sufficienti una o al massimo due dosi del monoclonale per diminuire di almeno 5 volte il rischio di recidiva e permette di abbandonare o di ridurre in misura sostanziale le altre terapie.

 

Data ultimo aggiornamento 15 novembre 2014
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide, malattie rare, recidive, rituximab, terapie immunosoppressive



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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