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Fatica cronica, un’infezione la causa "nascosta"?

Secondo uno studio della Columbia University di New York, l’attacco di virus, batteri o funghi può dare il via, in alcuni casi, a reazioni sbagliate del sistema immunitario che determinerebbero un senso permanente di spossatezza, mal di testa, dolori, difficoltà di concentrazione. Ma non tutti gli esperti sono d’accordo

di Marianna Castelluccio

Mal di testa, dolori, difficoltà di concentrazione, stanchezza che impedisce di condurre una vita normale: l’encefalomielite mialgica, più nota come sindrome da fatica cronica (in inglese: chronic fatigue syndrome), si manifesta con un affaticamento inspiegabile e duraturo. Secondo le stime questa malattia - da non confondere con la “fatigue” che affligge i malati di cancro, di sclerosi multipla e di altre patologie - colpisce lo 0,3-0,4% della popolazione, e dunque può essere considerata una malattia rara; è però probabile che in alcuni casi sfugga alle statistiche perché non viene diagnosticata in modo chiaro. Per anni è stata considerata una malattia con diverse componenti - neurologica, immunologica e forse anche endocrina. Ora, però, uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances da un gruppo di immunologi della Columbia University di New York suggerisce una nuova ipotesi: quella secondo cui la “fatigue” cronica sarebbe la manifestazione di un’infezione cronica virale, batterica o fungina.

I ricercatori americani hanno analizzato 51 marcatori dell’attività del sistema immunitario (le citochine) nel sangue di circa 300 malati e di quasi 350 persone sane. Oltre all’esame di queste sostanze nel sangue, gli autori hanno valutato attentamente anche la storia clinica di tutti i pazienti. Il risultato? Chi era stato vittima della fatigue cronica nei tre anni precedenti aveva un profilo immunologico del tutto particolare. Ad essere diversi erano soprattutto marcatori come l’interferone gamma, sostanza il cui livello si alza in risposta alle infezioni. Da qui l’ipotesi, appunto, che la fatigue possa essere collegata in qualche modo ad attacchi di virus, batteri o altri "nemici" dell’organismo.

Questi risultati non convincono, però, un ampio schieramento di neurologi. «Da decenni si discute su quali siano le possibili cause (infettive e non) della sindrome da affaticamento cronico: ipotesi varie e variegate, certezze nessuna» - spiega Mario Franciolli, medico consulente della sezione malattie infettive all’ospedale regionale di Bellinzona e Valli.

Secondo molti studiosi, occorrono nuovi studi per cercare di identificare, anche grazie alle analisi genetiche, l’agente responsabile dell’encefalomielite mialgica. «La sindrome da fatica cronica è un’entità molto nebulosa e in letteratura medica una causa non è ancora stata trovata - aggiunge Christian Garzoni, consulente in malattie infettive presso la Clinica Luganese di Lugano. - Nello studio della Columbia University gli immunologi hanno cercato le alterazioni delle citochine e le differenze di interferone tra persone sane e ammalate, ma i valori rilevati sono davvero minimi. Per questo possono nascere dubbi sull’impatto biologico delle trascurabili differenze osservate. Sin dagli anni ’80 si discute su possibili cause infettive della fatigue cronica. Tra i virus, soprattutto l’EBV (Epstein-Barr) è stato additato come potenziale fattore scatenante della malattia. Ricerche successive, però, hanno smentito questa ipotesi, negando una relazione diretta tra l’EBV e la sindrome da fatica cronica. Alle stesse conclusioni hanno portato gli studi su virus quali l’HHV-6, gli enterovirus, i Coxsackie, il virus XMRV e il virus MLV. Nel corso degli anni, sono stati anche ipotizzati vari problemi metodologici alla base dei primi studi che avevano descritto queste potenziali relazioni. Alla luce di tutto ciò, il ruolo del sistema immunitario nell’eziologia della malattia resta controverso o sconosciuto».

LA DIAGNOSI. «La sindrome da fatica cronica, definita oggi anche systemic exertion intolerance diseases, ha dei criteri diagnostici relativamente ben definiti, tuttavia presenta sintomi molto aspecifici e non sempre è facile diagnosticarla. «Nel 2015 - spiega Garzoni - l’Istituto di Medicina della National Academy of Sciences (Stati Uniti) ha definito i criteri diagnostici e i tre principali sintomi riconducibili alla malattia: riduzione sostanziale dell’energia fisica, accompagnata da fatica di nuova insorgenza, che dura per almeno sei mesi e non è attribuibile a disturbi endocrinologici o psichiatrici; malessere dopo l’esercizio fisico; sonno non ristoratore. A questi sintomi devono aggiungersi una diminuzione delle funzioni cognitive e/o un’intolleranza ortostatica (difficoltà a mantenere la posizione eretta). Non ci sono, però, test del sangue o esami radiologici in grado di formulare chiaramente la diagnosi. È compito del medico internista escludere le patologie sottogiacenti organiche e/o psichiatriche per spiegare il sintomo della “fatica”».

LE CURE. «La terapia risulta estremamente difficile – conclude Garzoni. - Solo due tipi di approccio terapeutico hanno dimostrato un’efficacia statisticamente significativa, in grado di ristabilire una sorta di equilibrio psico-fisico: la terapia comportamentale e la terapia basata sull’aumento graduale di esercizio fisico. Farmaci specifici per la malattia non sono invece a disposizione. Resta comunque fondamentale l’esclusione di patologie presenti insieme alla fatigue, come per esempio la depressione o altre malattie che, se curate, possono risolvere anche il problema della fatica cronica».’

Data ultimo aggiornamento 2 settembre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: encefalomielite mialgica, Ente Ospedaliero Cantonale, fatigue, malattie rare, Ticino



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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