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Troppi antibiotici usati male: un terzo va
nei fiumi e nei laghi, dove genera resistenze

L’utilizzo massiccio di antibiotici, non sempre giustificato, ha anche una conseguenza ambientale che, a sua volta, ha ripercussioni sull’efficacia di questo tipo di farmaci fondamentali: l’inquinamento delle acque. Una buona parte di quelli impiegati per uso umano, infatti, finisce nelle fognature e, attraverso di esse, nei mari, nei fiumi e nei laghi. E ora uno studio pubblicato su PNAS Nexus fornisce anche alcune stime: in tutto il mondo, ogni anno 8.500 tonnellate di antibiotici arrivano in mare o nei fiumi e nei laghi, tenendo conto solo di quelli usati a scopo terapeutico e non si quelli impiegati in agricoltura e veterinaria (che in realtà rappresentano l’80% del totale) e dei rifiuti generati dagli impianti di lavorazione. La quantità reale è quindi certamente superiore, e non di poco.

Nello studio, condotto dai farmacologi della Johns Hopkins University di Baltimora, sono state valutate le 40 principali molecole, e il risultato è stato appunto che il 8.500 tonnelllate, pari al 29% di tutte quelle utilizzate (29.200 tonnellate) per impieghi umani arrivano nelle acque dei fiumi e 3.300 tonnellate (pari all’11% del totale) direttamente in mare. Da un altro punto di vista, nel mondo ci sono sei milioni di chilometri di coste nelle quali la concentrazione di antibiotici è superiore a quella considerata sicura.

La molecola più popolare in tutto il mondo è l’amoxicillina, seguita dal ceftriaxone e dalla cefixima, con variazioni continentali. In generale, infatti, la zona peggiore è quella dell’Asia del Sud, dall’India, che è tra i principali produttori, alla Cina e all’Indonesia.

Poiché il consumo è in crescita ovunque, e soprattutto nei paesi a reddito più basso, secondo gli autori è importante porre un freno a tutti gli utilizzi non necessari, e finanziare sistemi di monitoraggio e controllo delle acque molto più efficienti di quelli attuali.

Gli antibiotici hanno profondi effetti sugli ecosistemi, e stimolano la creazione di specie resistenti, che li rendono inefficaci in caso di necessità. 

Ogni anno decine di migliaia di eprsone perdono la vita a causa di infezioni provocate da batteri doiventati resistenti agli antibiotici.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 6 giugno 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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