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I misteriosi rapporti fra la flora intestinale (microbiota) e la sclerosi multipla - L'Assedio Bianco

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Sclerosi multipla e intestino, rapporti misteriosi

La flora intestinale (microbiota) interferisce moltissimo con il sistema immunitario, che ha un ruolo fondamentale nell’insorgenza della patologia. Spesso i malati di SM hanno anche alterazioni del microbiota. Ne parliamo con Luca Battistini

di Maria Santoro

Sclerosi multipla e disbiosi. La ricerca scientifica in questi ultimi anni si è dedicata all’approfondimento del legame reciproco tra la malattia e l’alterazione della flora intestinale (o, come si dice in termine tecnico, del microbiota), cercando proprio in questo polivalente rapporto di migliorare l’approccio terapeutico dei pazienti con SM. Per capire cosa c’entra e come si comporta a tal proposito il sistema immunitario, quali sono le funzioni dei miliardi di batteri che abitano il nostro corpo e quali studi sono attualmente in corso, abbiamo scelto un interlocutore d’eccezione. Ne parliamo assieme al professor Luca Battistini, direttore del laboratorio di neuroimmunologia e vicedirettore scientifico della Fondazione Santa Lucia di Roma.

Ciascuno di noi possiede circa 21mila geni che costituiscono il  genoma, ma almeno 3,3 milioni di geni di microrganismi in simbiosi nel nostro corpo. Verrebbe da chiedersi se l’uomo in quanto tale esista veramente. Quanto sono importanti e a cosa ci servono?

«Questi microrganismi di varia natura (batteri, parassiti, funghi, eccetera), ricevono da noi temperature adeguate per sopravvivere e in cambio ci aiutano molto, in un perfetto rapporto mutualistico, collaborando al funzionamento del nostro corpo: ad esempio favoriscono la produzione di vitamine (senza batteri della flora intestinale non saremmo in grado di produrre buone concentrazioni di vitamine B e K), l’assorbimento  dei nutrienti, la digestione di alcuni cibi (polisaccaridi di origine vegetale), lo sviluppo di microvilli, il rinforzo della barriera intestinale. Oltre a queste funzioni ce ne sono altre piuttosto indispensabili. Sappiamo che il sistema immunitario si sviluppa e si orienta anche grazie al costante crossover (incrocio, ndr) di dati con il microbiota. Si tratta di un’azione sofisticata che scaturisce dall’interazione tra cellule della flora e quelle del sistema immunitario, che a loro volta traducono le informazioni derivate da questa convivenza in una vivacità di risposte su tutto l’organismo. È stato provato, anche in modelli animali di malattia, che l’orientamento dell’immunoregolazione (ovvero la capacità di regolare risposte immunitarie e infiammatorie mediate dall’immunità innata o adattativa) sia quasi totalmente a carico di questa interazione con la flora intestinale».

Quindi esiste un forte legame tra lo stato della flora intestinale e l’insorgenza di malattie, specie patologie autoimmuni, come ad esempio la sclerosi multipla?

«Di recente anche ricerche condotte sull’uomo con analisi di metagenomica delle feci hanno confermato la presenza di alterazioni, di elementi pro infiammatori a carico della flora intestinale, quindi batteri associati a un’infiammazione importante legati a malattie specifiche. La disbiosi, ovvero l’alterazione della flora intestinale, peraltro molto comune nei Paesi Occidentali (opposta all’eubiosi, buona qualità e quantità di flora), può essere modulata modificando gli stili di vita. È considerata una causa ambientale (assieme al fumo, alla scarsa esposizione al sole, infezioni virali, e così via) delle patologie autoimmuni, che unita alle cause genetiche finisce per slatentizzare la malattia. Non è sorprendente, quindi, che tra gli stili di vita associati alla disbiosi ci siano gli stessi fattori di rischio delle malattie autoimmuni».

Questo apre le porte a tante possibili considerazioni. Basta cambiare lo stile di vita per non ammalarsi, seguire una dieta per guarire dalla sclerosi multipla?

«Ovviamente no. È importante conoscere il ruolo giocato dalla flora intestinale nelle malattie autoimmuni, ma non è cercando soltanto una buona dieta su internet per correggere l’alimentazione che si possa risolvere tutto. È vero che nel nostro Paese, purtroppo, le scorciatoie prendono piede velocemente, ma la disbiosi dipende da un gran numero di fattori. Agendo su un elemento soltanto (come la dieta o il fumo) non si ottiene un granché. Soprattutto perché, prima di fare qualunque scelta e intraprendere qualunque percorso terapeutico, è sempre necessario entrare nel contesto del singolo paziente. Il messaggio non può essere solo: cambia alimentazione o smetti di fumare. Ci sono dei bellissimi cartoon americani dove bambini sovrappeso sono sdraiati tutto il giorno sul divano a giocare alla playstation ma alla sera, prima di andare a dormire, assumono un probiotico. Cosi non si ottiene nulla. La terapia va sempre personalizzata e ugualmente l’intervento sullo stile di vita. Per la SM esiste un numero incredibile di presidi terapeutici; accanto a questi si possono mettere a punto suggerimenti per migliorare lo stile di vita con effetto sulla disbiosi e sulle risposte immunitarie che condizionano la patologia autoimmune. Stiamo provando a capire anche il possibile ruolo della flora intestinale per migliorare la risposta alla chemio nei pazienti oncologici».

Ci sono già evidenze scientifiche che l’intervento sull’alimentazione possa in qualche modo fermare la progressione della malattia?

«Nell’ambito delle malattie autoimmuni esiste tanta eterogeneità, perciò è impossibile che una dieta unica possa funzionare per tutti. Per avere dati scientificamente validi occorrono numeri di pazienti importanti e gruppi di individui ben selezionati e stratificati. In passato è stato studiato un pot- pourri di pazienti, alcuni fumavano altri no, alcuni avevano una forma più aggressiva di malattia altri erano all’esordio di malattia con assenza di neurodegenerazione. L’idea di realizzare una ricerca specifica e valida su questo tema c’è; dobbiamo però disegnare molto bene il progetto, selezionare in modo adeguato il gruppo di studio e, infine, superare lo scoglio dei costi altissimi. Quel che sappiamo oggi è che agire sulla qualità della flora intestinale può rinforzare l’efficacia dei presidi terapeutici a disposizione. In particolare, inizieremo dalle terapie immunomodulanti di prima linea». 

Anche per sclerosi multipla esistono ciarlatani che millantano cure miracolose?

«La comunicazione è molto importante. In Italia esistono siti di guaritori che sfruttano e approfittano delle nuove conoscenze scientifiche sulla malattia per confezionare business personali. Proteggersi dalle bufale si può, basta diffidare delle terapie miracolose e molto costose, delle ricerche che non abbiano numerosità campionaria sufficiente per una significatività statistica (ricerche non autorevoli che abbiano conflitti di interesse)».

Cosa significa oggi per un ragazzo ammalarsi di sclerosi multipla?

«Rispetto a chi ha avuto l’esordio di malattia 20 anni fa, quando ancora non esistevano le terapie attuali e i pazienti accumulavano disabilità, oggi la scelta a disposizione per la terapia del neodisgnosticato è ampia. I farmaci che possiamo somministrare permettono di tenere sotto controllo la patologia il più possibile. Tranne per rari casi con progressione incontrollata, la qualità di vita del paziente è migliorata molto».

Il Santa Lucia cosa offre ai pazienti con sclerosi multipla? Quali sono gli studi in cantiere?

«Siamo un’eccellenza nel settore della neuroriabilitazione. Abbiamo a disposizione le migliori tecnologie. D’altronde sappiamo che per questa malattia non soltanto è fondamentale una speciale riabilitazione motoria ma, proprio a causa della compromissione della sostanza grigia e della corteccia cerebrale, anche della riabilitazione cognitiva. Io dirigo il laboratorio di neuroimmunologia e ho personalmente avviato un progetto di ricerca sul micobiota (studio dei lieviti della flora intestinale, più facilmente coltivabili in laboratorio) per studiare il fenomeno della disbiosi nei pazienti con sclerosi multipla. Con altri colleghi sto sviluppando un progetto sempre dedicato all’alimentazione personalizzata di questi pazienti. Ci sono tutti i presupposti per migliorare progressivamente le opportunità di trattamento terapeutico e sono sicuro che tra non molto potremo apprezzare risultati incoraggianti». 

Data ultimo aggiornamento 1 marzo 2018
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Tags: disbiosi, flora intestinale, microbiota, sclerosi multipla


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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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