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Rischiano di più le donne
che lavorano in aziende tessili

di Agnese Codignola

Per la prima volta è stato individuato un fattore di rischio professionale nell’insorgenza dell’artrite reumatoide: la polvere derivante dalle lavorazioni tessili. Lo dimostra uno studio pubblicato sugli Annals of the Rheumatic Diseases, nell’ambito del quale i ricercatori dell’Institute for Medical Research di Kuala Lumpur, in Malesia,  hanno analizzato la storia di oltre 900 donne malate, e di altrettante non colpite dall’artrite, prelevando poi a tutte campioni di sangue per effettuare alcuni dosaggi specifici legati alla malattia.

Il risultato è stato che tra le donne con l’artrite il 4,5% aveva lavorato in un’industria tessile, contro l’1,7% delle altre; in altri termini, coloro che avevano una storia di lavoro in un’azienda tessile, mostravano un rischio di sviluppare la malattia circa triplo rispetto alle altre. Inoltre, sempre le prime avevano nel sangue un livello di anticorpi tipici dell’artrite reumatoide (chiamati ACPA) circa doppio rispetto alle donne che non avevano lavorato in imprese tessili. Infine, fra le donne che presentavano una serie di varianti genetiche (indicate con la sigla HLA-DRB1 SE) che favoriscono l’artrite reumatoide, il rischio di sviluppare realmente la malattia è risultato circa 39 volte più alto, rispetto alla norma, se le pazienti avevano lavorato in aziende tessili.

Insomma, geni e polvere proveniente dalle lavorazioni dei tessuti sembrano costituire un forte fattore di rischio (soprattutto in Paesi che non hanno normative ambientali avanzate). E anche se resta da capire perché proprio questo tipo di polvere (e quale) abbia un effetto così potente, il dato merita senza dubbio un approfondimento, cui dovrebbe seguire l’adozione di misure preventive a tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Inoltre, capire con maggiore precisione questo inatteso legame aiuterà anche a comprendere meglio la malattia e a trovare nuove vie terapeutiche.

 

 

 

 

 

Data ultimo aggiornamento 28 giugno 2016
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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