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Sindrome da affaticamento cronico:
la responsabilità è dei batteri intestinali?

La sindrome da affaticamento cronico o encefalomielite mialgica, meglio nota come CFS, è tuttora assai misteriosa, e sintomi del tutto sovrapponibili sono stati segnalati anche in altre malattie tra le quali il Long Covid. Ora però uno studio appena pubblicato su Cell dai ricercatori e immunologi della Mailman School of Public Health della Columbia University di New York aiuta a vederci più chiaro, fornendo una spiegazione che potrebbe comprendere anche l’origine delle altre manifestazioni di fatigue cronica.

In esso  sono stati analizzati campioni di microbiota intestinale di 106 persone con CFS reclutate in cinque siti geograficamente lontani (il microbiota dipende anche dalla comunità in cui si vive), e quello di 91 controlli sani simili per età, sesso e situazione generale, ed è emersa una differenza molto evidente. Chi soffriva di CFS, infatti, aveva concentrazioni molto più basse di due specie batteriche particolarmente importanti, e già associate all’insorgenza di varie patologie come il morbo di Chron: F. prausnitzii ed Eubacterium rectale, la cui specializzazione è quella di produrre un acido grasso prezioso, il butirrato. Quest’ultimo riesce a frammentare le fibre e, quando è insufficiente, aumenta molto il rischio di tumore del colon, di resistenza all’insulina e di infiammazione, così come peggiorano gravità e durata dei sintomi del Covid 19, malattia che, a sua volta, altera profondamente il microbiota e che è associata a fatigue cronica quando diventa Long Covid.

Va detto che la CFS impiega molti anni a manifestarsi: non è quindi ancora chiaro se la disbiosi, cioè lo squilibrio del microbiota, sia una causa o un effetto. Tuttavia, il risultato fa sperare che una terapia capace di riequilibrare le popolazioni delle due specie possa aiutare i malati a recuperare, e lo stesso potrebbe accadere con altre fatigue come quella da Long Covid.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 27 febbraio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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