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Preservare i tessuti riproduttivi sull’ISS per almeno sei mesi è possibile, grazie al freddo

Per preservare i tessuti degli organi riproduttivi durante le missioni spaziali si potrebbero congelare (criopreservare) le cellule germinali, progenitrici di quelle sia maschili che femminili, almeno per sei mesi. Al rientro sulla Terra, o all’arrivo in un’ipotetica colonia, e riportate a temperature normali, esse tornerebbero a comportarsi normalmente e potrebbero consentire di generare prole. Questo è quanto si è visto in un esperimento condotto in parte sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e in parte a Terra su tessuti murini, i cui risultati sono stati pubblicati su Stem Cells Reports dai ricercatori dell’Università di Kyoto, in Giappone. Le cellule germinali sono state infatti congelate e inviate sull’ISS, e lì mantenute per sei mesi, per poi essere riportate sulla Terra. Al rientro sono state scongelate, espanse (cioè fatte crescere) e reimpiantate nei testicoli dei topi, dopo che si era visto che non presentavano anomalie evidenti. Dopo tre-quattro mesi, da quegli animali sono nati piccoli che non presentavano difetti genetici o di altro tipo.

Gli astronauti e gli eventuali coloni potrebbero quindi prevenire i problemi di fertilità e riproduzione ben noti (scoperti in diversi esperimenti precedenti), determinati dall’assenza di gravità, dallo stravolgimento dei ritmi circadiani e soprattutto dalle radiazioni, tipici dello spazio, criopreservando i propri tessuti. Questi ultimi potrebbero essere utilizzati al rientro sulla Terra, a meno che, in sedi diverse come colonie su altri pianeti o strutture orbitanti, non fossero ricreate condizioni paragonabili. Infatti, se si scongelassero laddove non c’è gravità e ci sono le radiazioni, il risultato finale sarebbe probabilmente un fallimento. Inoltre, tutto ciò presuppone che i tessuti riproduttivi umani si comportino come quelli murini, e non è detto che sia esattamente così.

La vita al di fuori della Terra sarebbe molto più difficile di quanto non si affermi di solito: per molti esperti sarebbe semplicemente impossibile, a meno che non si risolvano enormi problemi che, al momento, non hanno soluzione. Ma proprio per questo è importante che gli studi proseguano.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 26 agosto 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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